Dire che Douglas Noel Adams (trovatosi “DNA” a Cambridge poco prima che l’altro DNA fosse modellato per la prima volta) è stato uno scrittore sci-fi è come dire che il pianeta Terra su cui viviamo è praticamente innocuo.

Douglas Adams ha inventato la deliziosa storia che ha l’effetto di un Pan Galactic Gargle Blaster shakerato dal migliore barista del mondo. Essa fu concepita in un prato, di notte, a Innsbruck, con a fianco una malandata guida turistica tascabile, dopo un paio di birre e un paio di giorni senza mangiare, causa mancanza di soldi durante un giro per l’Europa in autostop.
La storia si chiama The Hitchhiker’s Guide to the Galaxy (Guida galattica per gli autostoppisti) ed è stata ascoltata per la prima volta l’8 marzo 1978 dagli inconsapevoli fortunati che in Inghilterra, quella fredda sera, si erano sintonizzati su BBC Radio Four.
Me li vedo, a sbagliare canale per una fitta al polso, pensando all’irrimediabile giornata trascorsa, mentre si sforzano di carpire una strana musichetta aliena e… Un narratore, che parla di un libro pubblicato su Orsa Minore. Un narratore che racconta dell’imminente distruzione del nostro pianeta a causa della necessità di creare un’autostrada iperspaziale che deve passare di lì, senza ricorsi possibili. Quando il protagonista Arthur Dent, a bordo di una nave della flotta incaricata della distruzione (come ci arriva non svelerò, ma c’entra il fatto che il suo amico inglese in realtà non è esattamente inglese), giunge alla conclusione che nell’universo non ci sono più hamburger, sviene. Ci avrebbe pensato due volte prima di riprendere i sensi se avesse saputo che di lì a breve lo attendevano: un pesce in un orecchio, una poesia Vogon — la terza peggiore al mondo– e una repentina espulsione nello spazio, in cui senza protezione alcuna si sopravvive 30 secondi e le probabilità di salvataggio sono circa una su 2267’706. Per sua (s)fortuna, una certa improbabilità a due teste e un ego sproporzionato sono in agguato.
I radioascoltatori, probabilmente aiutatesi quella notte con qualche birra per prender sonno, troveranno anni dopo questa storia scritta in nero su banco in un libro o meglio una trilogia di cinque libri, come la definì l’autore. Un concentrato della migliore ironia di tutti i tempi, distillata nel becher della fantascienza.

Douglas Adams è anche colui che ha dato il nome a un album dei Pink Floyd, The division bell. Il gruppo in cambio gli aveva promesso una donazione all’EIA – Environmental Investigation Agency, che indaga sui crimini commessi contro l’ambiente. Non solo, DNA ha corso maratone vestito da rinoceronte, per Save The Rihno. Questo granduomo è andato in Madagascar, attraverso la fradicia foresta pluviale, per avere un breve incontro di una decina di secondi con un aye-aye, primate simile a un lemure che lì ancora esiste grazie al fatto che il Madagascar, al tempo dell’avvento delle scimmie, era fuori dai piedi ovvero circondato dall’oceano indiano.
È l’uomo che è andato in Nuova Zelanda a vedere un pappagallo che non sa più volare (meglio: “che ha dimenticato di aver dimenticato come si vola”) e che rischia l’estinzione perché abituato a vivere in una terra senza predatori, ovvero nella linda Nuova Zelanda appena emersa dall’oceano molto prima dello sbarco umano.
Tutto questo è raccontato in un libro, Last Chance to See, ma molto si apprezza anche in una conferenza che egli ha tenuto all’Università della California, nel 2001 poco prima di morire a 49 anni. In quel video, oltre a spiegarci com’è difficile trovare preservativi a Shanghai e sopravvivere sull’isola di Komodo, ci dice che se pensiamo che in fondo la Terra è fatta per noi, a nostra misura, e che anche se la stiamo pian piano distruggendo in fondo it is meant to be… Ci sbagliamo, ed è il caso di capirlo prima dell’estinzione definitiva: “il pianeta si prende cura di se stesso, ha già attraversato due grandi estinzioni di massa, non dovremmo preoccuparci del fatto che il pianeta continui ad esserci quanto che la nostra specie continui ad esistere.”

Douglas Adams amava osservare il mondo e spiegarlo agli altri. Rendeva semplici e comprensibili cose che al suo interlocutore fino ad un attimo prima erano parse assurdi cavilli.
Viceversa, faceva di tutto pur di non scrivere. Celebre è la sua frase: “I love deadlines. I love the whoosing sound they make as they go by”. Per fortuna talvolta si è dato la pena di farlo, perché un mondo senza la Guida Galattica sotto qualsiasi forma o edizione, sarebbe un mondo un po’ meno vivibile.
Nelle parole del suo amico e scrittore Neil Gaiman, riferendosi al lontano ‘78:

“I was a kid who discovered the series ―accidentally, as most listeners did― with the second episode. I sat in the car in the driveway, getting cold, listening to Vogon poetry, and then the ideal radio line ‘Ford, you’re turning into an infinite number of penguins,’ and I was happy; perfectly, unutterably happy.”

Oggi, 25 maggio, si festeggia in tutta la galassia il Towel-day, Giorno dell’asciugamano: chi sa dov’è il suo (che sia a fiorellini o macchiato di candeggina) lo sventoli con orgoglio e proceda pure con gli altri infiniti usi dello stesso, come consigliato dalla Guida.
Ricordate autostoppisti, regola numero uno, ovunque siate, anche nella vostra testa: Don’t Panic.

Grazie, DNA.

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