Nel 1740 la nave San Carlo affonda nel porto di Trieste. Rimane in bilico sul ciglio dell’acqua, incagliata ai primi scogli del fondale, per tre anni. Gli alberi si coprono di alghe, le vele a brandelli ancora si intravedono dalla terraferma. Ma non è destino che la nave scompaia del tutto.
Nel 1743 si decide di utilizzare la chiglia marcescente della nave San Carlo come fondamenta per la costruzione di un molo. Otto anni di fatiche per la comparsa del primo embrione, un molo che fende la superficie del mare per 95 metri di lunghezza, enormi massi di pietra irregolare, sconnessa, uniti tra loro da calce e sabbia, alla terraferma da un modesto ponte di legno. L’odore di legno bagnato, di merce e di cibo stantio, le voci di ogni lingua ed accento, il mare, che si impone inconquistabile, perentorio. Il molo San Carlo, per l’appunto, il molo di Umberto Saba:
Non per tale un ritorno or lascerei
molo San Carlo, quest’estrema sponda
d’Italia, ove la vita è ancora guerra;
non so, fuori di lei, pensar gioconda
l’opera, i giorni miei quasi felici,
così ben profondate ho le radici
nella mia terra.
Ma l’embrione ha in sé il bisogno di crescere, e cresce, 114 metri nel 1778, 246 metri nel 1860. 246 metri cadenzati dalle bitte di ferro a cui si legano gli ormeggi, artigli arrugginiti e deformi inchiodati alla pietra. Ma, anche se siamo alle porte del novecento, il molo porta un nome che non sopravvivrà ancora a lungo.
Il 3 novembre 1918 il cacciatorpediniere Audace attracca sul molo. Tutta un’altra impressione: le parole sono importanti, come dice Nanni Moretti, e “Audace” suona così dinamico, così prestante; la retorica dei muscoli piaceva al re, e piacerà anche al duce. La città che si scalza dal giogo straniero abbisogna di un simbolo che ne provi la vittoria: la prima nave italiana dopo la caduta dell’Austria. Nel 1922 nasce il molo Audace e nel 1925 la rosa dei venti, “Fusa nel bronzo nemico III novembre MCMXXV”, fissata all’estremità del molo da una colonna di pietra bianca.
Ma la storia sfugge, si dimentica, e forse è anche meglio così, il molo Audace conserva il suo charme. Le navi non vi ormeggiano più da tempo, ma le sue pietre sostengono ancora il peso dei gabbiani, creature leggiadre dappertutto tranne che a Trieste, e degli uomini; c’è chi ci si addentra per rifugiarsi nei propri pensieri, chi se ne serve per passatempi di dubbia legalità, chi ci porta la ragazza per impressionarla con le proprie considerazioni sull’universo. Di fronte la linea dell’orizzonte, talmente dritta da sembrare innaturale, a sinistra Punta Grossa, Punta Sottile, l’Est, a destra la collina e le case della buona borghesia cittadina, e dietro Piazza Unità, i palazzi della grandeur del passato. Il molo Audace offre una prospettiva a 360° gradi, di brulichio vitale e di calma infinita, mischiati nel fascino della contraddizione.
Sono nato a Pordenone nel 1993. Mi divido tra musica e lettere; gli studi classici, la scrittura e le lingue straniere, si accompagnano a pianoforte, chitarra, voce e teatro. Mi interesso di geopolitica e diritti umani e già mi sono imbarcato in varie esperienze di volontariato, soprattutto in Palestina.