Una regina che non ha paura di nulla, uno sbirro a due teste, una adolescente innamorata di un vecchio arcangelo e un assassino che non riesce a scrivere al presente dell’indicativo. Ma soprattutto, lui: Benjamin Malaussène, colui dalla “eccezionale capacità di ficcarsi nella merda”.
Sono passati due anni da Il paradiso degli orchi, primo romanzo di Pennac che vede come protagonista il giovane signor Malaussène. Nonostante questi eserciti ancora la propria professione di capro espiatorio, stavolta non ne può davvero più. E’ con questa risoluzione, e in seguito all’incontro con un gigante arrabbiato, che si presenta dalla “regina” Zabo per dare le sue dimissioni. Non ha idea di quello che gli riservi il futuro, nonostante le doti di preveggenza della sorella Thérèse…

Tra le metafore di Pennac si delinea una trama fitta di eventi, abitata dalla numerosa quanto squilibrata famiglia Malaussène, senza madre né padre ma con abbastanza fratelli e sorelle da tener occupata tutta Parigi. In quest’avventura del Ciclo di Malaussène, il fratello maggiore dovrà scontrarsi con la Letteratura e le sue conseguenze: dopo una catena di nefasti eventi, gli verrà proposto di prestare il volto ad un famoso scrittore, il quale si cela nell’ombra da vent’anni. Solo la regina Zabo conosce la vera identità di tale JLB, dato che lo pubblica. Costui è uno scrittore che si rivolge ai commercianti, ai bottegai, ai lettori che dell’autore amano dire “l’ho visto”, più che “l’ho letto”. I romanzi di JLB mirano a diffondere il verbo del Realismo Liberale, soffocato e allo stesso tempo sorretto da stereotipi.
Purtroppo i guai, quando sono a caccia di Malaussèene, si presentano sempre in branco: egli dovrà fare i conti con il direttore di una prigione da sogno, abitata da assassini convertiti alle arti, nonché con il commissario della Polizia Giudiziaria. Ormai sua vecchia conoscenza, il commissario Rabdomant lo rimprovera di essere un modello di virtù, la personificazione dell’innocenza, nonostante tutto sia sempre contro di lui: “movente, frequentazioni, tragitti, orari, famiglia…”
Malaussène, cronicamente stufo di subire colpe che non si merita, scappa dalla padella inumana ell’editoria alla brace del marketing, non rimanendo illeso. Affatto.
La stessa famiglia, tuttavia, che gli crea un sacco di problemi, è anche la sua scialuppa di salvataggio, pronta a tutto per aiutarlo nel momento del bisogno. Mentre tra le pagine si insinua l’odore perenne di caffè, mentre un senegalese parla cinese al capezzale di un morente e la furia cieca dell’amore invade Parigi, fratelli e sorelle Malaussène, nonché padri e madri acquisite, si rimboccano le maniche.
La Prosivendola è una storia in cui assassini e scrittori si confondono, così come liberi e prigionieri. Il tutto condito con abbondanti dosi di umorismo, e senza mezzi termini:

“E lei, cosa ne pensa dei miei romanzi?” le chiese l’uomo, fra due eternità di silenzio.
“Un mucchio di stronzate.”