Siamo appiattiti nel presente: facciamo fatica ad avere prospettive nel futuro, le soluzioni che cerchiamo sono a breve periodo e abbiamo difficoltà a fare i conti col passato. Eppure, anche scavando solo un poco, ci imbattiamo nel latino. Comincia con queste premesse, in un Palaprovincia gremito di giovani, l’incontro con i filologi Ivano Dionigi e Federico Condello: una riflessione sul latino che prende le mosse da “Il presente non basta. La lezione del latino”, ultimo libro di Dionigi.
La discussione fra i due filologi è stata di altissimo livello e densissima di significato: si è parlato di latino e politica, di traduzioni, scuola e saperi trasversali. Non c’è qui lo spazio per seguirla nella sua interezza, motivo per cui mi limiterò a riproporne un passaggio che ho trovato particolarmente significativo: il filologo e le etimologie.
Per acclimatarci con le culture antiche, la prima cosa a cui normalmente pensiamo sono i monumenti. Non ci rendiamo però conto che questo bene culturale non è solo rovine, ma è nell’aria, nella lingua, nelle parole. Le parole sono importanti, anche se oggi, purtroppo, usiamo vocaboli piuttosto che parole perché uera uocabula rerum amisimus (Sallustio, Catil. 52): abbiamo smarrito il significato delle parole. Dobbiamo riscoprire le parole perché la parola è prima, la comunicazione è seconda.
Inoltre l’etimologia, la microscopia della parola, è molto spesso rivelatoria. Tre esempi ci dimostrano come, se sappiamo il latino, possiamo difenderci meglio nel mondo in cui viviamo e avere più consapevolezza.
– Veniamo educati dai media e dai genitori a competere. Ma cosa significa competere? Competere deriva da cum + peto, con cum di compagnia. Il significato è quello di “andare tutti insieme armati di buone intenzioni verso la stessa direzione”, non di certo quello di gareggiare all’ultimo sangue per aver la meglio sui nostri avversari.
– Le immagini di oriente e occidente sono legate, rispettivamente, al sole che sorge e al sole che tramonta, muore. “Proprio per questo”, sottolinea Dionigi, “sarebbe meglio fare un’alleanza vitale per la sopravvivenza. È la lingua medesima a dirci che siamo un mondo vecchio che tramonta”.
– La parola ministro (lat. minister) deriva da minus (meno) + ter (che indica relazione rispetto agli altri). Il minister è il celebrante secondario, nel rito latino, al contrario del magister, celebrante principale. È quindi brutto segno dei tempi che oggi giorno si abbia il culto dei ministri e non si seguano più i maestri.
“Dovremmo essere tutti filologi, amanti delle parole, per saperle usarle bene” auspica Dionigi. Ricorda poi che il recentissimamente scomparso Carlo Azeglio Ciampi, laureato alla Scuola Normale Superiore in paleografia greca disse: “Sapeste quanto la paleografia greca, i manoscritti e il ricostruire frammenti per congettura mi hanno giovato per rimettere apposto i conti dello stato!” E poi c’è ancora qualcuno che ritiene il latino e il greco inutili?
Nata a Pordenone, classe 1990. Si autodefinisce “classica”. Studia pianoforte, pratica la danza classica e si laurea in lettere antiche presso l’Università degli Studi di Padova e la Scuola Galileiana di Studi Superiori. Vive in una delle capitali della classicità: Vienna, dove – presso l’Istituto di Studi Bizantini e Neoellenici – svolge il suo dottorato e collabora a diversi progetti di ricerca. Ama i manoscritti, il greco, la matematica, i viaggi, la fotografia.