Pordenonelegge è una manifestazione completa, varia, ricca di spunti e temi fra i più diversi. A volte, può addirittura trasformarsi in ispirazione, e prendere la forma del trampolino di lancio ideale per progetti e idee. È il caso di Erica Gaiotti, giovanissima studentessa che è riuscita a compiere il grande salto, pubblicando il suo primo libro a 16 anni. Il lavoro, che porta il suggestivo titolo E ho imparato ad amare la pioggia, verrà presentato sabato nel corso di un incontro del festival – Angeli e profumi…-, ma noi de L’oppure siamo andati a parlare con Erica, per offrirvi in anteprima un assaggio di quello che questa giovane promessa ha da dire.

Ciao Erica! Innanzitutto, grazie per averci regalato questa conversazione con te. Parlando del libro: è una cosa importante, la tua prima esperienza letteraria! Come e quando è iniziata quest’avventura?

«Fin da quando ho cominciato a leggere, da bambina, mi capitava spesso di fissarmi su particolari frasi o storie, e pensare che anch’io potevo avere la capacità di dar vita a qualcosa attraverso un libro. Mi sono sempre chiesta come fosse scrivere davvero un romanzo e così, durante le vacanze estive fra la fine delle scuole medie e l’inizio delle superiori, ho cominciato a creare il mio».

Avevi un obiettivo, con la tua scrittura? Magari pensavi proprio alla pubblicazione?

«Devo ammettere che non pensavo solo a me stessa, scrivendo, ma anche a tutti i parenti e conoscenti che avrebbero potuto leggere il mio lavoro; ho sempre visto molto lontana la prospettiva di pubblicarlo davvero, l’idea che avrebbe potuto trovarsi in una libreria dove a leggerlo sarebbero state anche tante persone che non conoscevo. Poi i miei genitori mi hanno incoraggiata a tentare, ed una casa editrice di Roma ha deciso di pubblicare il mio lavoro. Ma io, all’inizio, scrivevo per trasmettere la mia positività agli altri, specialmente ai miei giovani coetanei che spesso, secondo me, rischiano di non dare la giusta importanza alle piccole cose belle della vita. Però poi, man mano che lo scritto cresceva, ho deciso di movimentare la vicenda e.. insomma, è nata la storia vera e propria».

Allora raccontaci un po’ questo libro, che sa di cambiamenti ed emozioni nuove.

«Questa è la parte più difficile. In molti mi hanno chiesto di raccontare la storia di E ho imparato ad amare la pioggia, ma è davvero un’impresa ardua dopo averlo scritto, dopo averlo vissuto. Comunque, ci proverò. Caterina è una sedicenne come tante, che abita in Sicilia e conduce una vita assolutamente normale, quando si trova davanti ad una scelta che lei interpreta quasi come un dovere morale: la nonna è malata, e lei è l’unica ad avere la possibilità di starle accanto in un momento così difficile. Così Caterina, che è molto legata alla nonna, compie la sofferta decisione di trasferirsi, lasciando la sua casa e la sua città. Caterina viene quindi ospitata da amici dei suoi genitori, dove conosce Jona, con il quale intraprende un lungo e complicato rapporto di amicizia. Il legame tra i due ragazzi si rafforza di giorno in giorno fino a quando, per caso, trovano delle vecchie lettere nascoste nella casa di Jona. La corrispondenza apparteneva ad una giovane, che chiedeva alla madre di aiutarla a trovare la forza per realizzare il suo sogno, nonostante l’opposizione del padre. Da quel momento, inizierà una gara fra i due amici per scoprire di che sogno parli la ragazza delle lettere; un gioco che li porterà a conoscere meglio se stessi e l’altro, fino a guardarsi, reciprocamente, con occhi diversi: quelli dell’amore».

Un libro davvero avvincente! A questo punto, però, non posso fare a meno di chiederti se la storia che mi hai raccontato non contenga anche delle vicende prese dalla tua vita personale.

«Nel romanzo ci sono alcuni cenni “autobiografici”: ad esempio, il rapporto fra Caterina e la nonna riflette quello fra me ed i miei nonni, che ho sempre visto come figure di riferimento; anche il trasferimento della ragazza lontano da casa ha un fondo di realtà, perché viene dalla partenza di mia sorella Sara che ha vissuto un anno all’estero. Tuttavia, fin dall’inizio non ho voluto inserire nella storia la mia vita, ma piuttosto i messaggi che per me sono importanti: nell’amicizia che Caterina intraprende con una ragazza figlia di Giapponesi, ho voluto dare spazio alla mia convinzione che ormai viviamo in una realtà globale, e non possiamo che avere un buon rapporto con le persone di altre nazionalità, che sono esattamente uguali a noi. Anche il particolare delle vecchie lettere, si lega alla mia concezione del passato come di qualcosa che influenza sempre in qualche modo il presente, spesso in maniera positiva, come in questo caso».

Un’ultima domanda, Erica: nella tua esperienza di scrittura, hai avuto qualche modello fra le grandi personalità della letteratura contemporanea (e non), italiana e straniera?

«Uno scrittore in particolare non c’è, a dire il vero, ma c’è un libro che ho davvero amato e che mi è entrato nelle ossa: Sganciando la luna dal cielo, di Gregory Hughes. Anni fa, ero a pordenonelegge con mio padre, e siamo andati a sentire la presentazione di questo romanzo, anche se nessuno dei due conosceva l’autore. L’incontro mi ha veramente colpita e ho deciso di acquistare il libro, che da quel momento non mi ha più abbandonata».

Questa è la magia di pordenonelegge: non solo luogo di consolidamento e scambio di idee, letteratura, cultura, ma anche luogo di creazione dei sogni.