Immaginate di tornare indietro nel tempo, di aprire la porta di casa e di ritrovarvi catapultati in un periodo e in un luogo che sembrano usciti direttamente da un dipinto di Jan Vermeer, nel quale automobili e motorini sono sostituiti da carrozze e barche. Un mondo nel quale la classe più alta della società si scontra e nello stesso tempo si appoggia alla borghesia, la cui importanza e la cui solidità economica continuano a crescere. Un’epoca in cui le apparenze costituiscono la base di ogni realtà, ma una base fragile, insicura, che necessita di essere rinforzata ogni giorno se non si vuole che la verità esploda e fuoriesca come la lava di un vulcano e travolga tutto ciò che le sta intorno; in cui la parola di una donna solo in apparenza non ha valore, ma che, in realtà, è capace di appropriarsi progressivamente del ruolo che le spetta senza paura, con coraggio, sfidando tutto e tutti pur di ottenere il giusto riconoscimento.

È questo mondo che la scrittrice inglese Jessie Burton descrive nel suo romanzo d’esordio, Il miniaturista, pubblicato per la prima volta nel 2014; ed è esattamente in questa realtà che viene catapultata Petronella Oortman – Nella -, giovane fanciulla di diciott’anni che si ritrova a trasferirsi dalla campagna ad Amsterdam, dove vive l’uomo che ha appena sposato, uno dei più ricchi mercanti della città, Johannes Brandt, insieme alla sorella Marin. Fin da subito la convivenza risulta ostile, fredda, complessa: Nella sente Johannes distante, come se a malapena fosse consapevole della sua presenza, troppo preso dai suoi affari per degnarla di reale attenzione; al contrario di Marin, figura fin troppo presente, autoritaria, che sembra considerarla un’intrusa, una rivale pronta a rubarle il ruolo che ha faticosamente conquistato all’interno della casa. Unica stranezza, il dono alla novella sposa di un modello in miniatura perfettamente rappresentante la sua nuova dimora; regalo in apparenza incomprensibile, senza senso, ma che Nella decide di sfruttare al meglio, contattando un miniaturista, un artigiano a cui commissiona la realizzazione di alcuni oggetti per arredare la piccola costruzione. Sarà proprio questo incontro – che non avviene mai di persona, ma solo per via epistolare – a cambiare per sempre gli equilibri e a stravolgere la vita della giovane e di coloro con i quali viene in contatto. Il miniaturista, che si scoprirà essere una donna, sembra conoscere intimamente i fatti della famiglia Brandt e continua a inviare a Nella, attraverso gli oggetti commissionati, piccoli indizi che spingono la protagonista a cercare di capire cosa davvero stia succedendo, a grattare sotto la superficie per arrivare al fondo delle cose, a una verità che si rivelerà essere complessa, pericolosa, scomoda, che rischia di far cadere il castello di carta che Johannes e Marin hanno faticosamente costruito nel corso degli anni portandoli fino alla rovina economica, all’emarginazione sociale. Ed è proprio nel momento più buio che Nella dovrà decidere da che parte schierarsi, affrontare i suoi pregiudizi, rivedere le sue aspettative, scavare nei propri pensieri per guardarsi dentro davvero per la prima volta e abbandonare le sue vesti di bambina in cambio di quelle di donna energica, determinata, pronta a tutto pur di salvare quello che ha faticosamente conquistato: l’indipendenza, la risolutezza, un proprio posto nel mondo.

Osservato da vicino, è impossibile non notare come si tratti di un mondo alla rovescia: la vera chiave del potere è in mano alle donne, esseri forti, decisi, che solo all’apparenza rimangono occultati dentro casa a gestire le faccende domestiche e ad assicurarsi che tutto proceda per il meglio, quando invece è nelle loro mani che l’autrice pone l’intera azione. Nella, Marin, Agnes – la moglie di un rivale di Johannes -, Cornelia – la domestica di casa Brandt -, la miniaturista stessa tengono fra le loro dita le fila di ogni avvenimento, di ogni personaggio, quasi fossero dei burattinai intenti ad allestire uno spettacolo. Non c’è spazio per i sentimenti, sono considerati ingannatori, illusori, evanescenti; seguirli vorrebbe dire mettere tutto ciò che è stato costruito a rischio, scegliere di puntare sull’ignoto, sull’incertezza, sulla consapevolezza che basta un minimo sbandamento, il più piccolo errore, per rovinare tutto.

Ma non seguirli, cosa comporterebbe?

Il discrimine sta proprio in questo: il senso del dovere viene contrapposto continuamente al desiderio personale; la volontà di ognuno combatte ogni giorno con l’ipocrisia dell’apparenza, con la paura di fuoriuscire dagli schemi. Leggere questo racconto vuol dire immergersi appieno, quasi inconsapevolmente, in un mondo in cui parole come confronto, opinione, iniziativa sono da evitare accuratamente, da rifuggire quasi, ma che porta a chiedersi cosa accadrebbe se qualunque tipo di libertà venisse negato, se si tentasse di ingabbiare la personalità di qualcuno per sottoporla al giudizio della società.

È a questo punto che avviene la svolta, il cambiamento, che emerge la voglia di riappropriarsi di tutto quello che ci appartiene davvero. Ma ciò non sarebbe possibile se non venisse alla luce un elemento fondamentale, imprescindibile, che funge da motore a tutto: la speranza.

Le cinque figure che la miniaturista vi aveva scolpito sono ancora lì, nella casa sullo Herengracht. La giovane vedova, la balia, Otto e Thea, Cornelia: verranno a capo dei segreti delle rispettive vite? Sono solo dei fili sparsi. Ma lo siamo sempre stati, si dice Nella. Insieme facciamo un arazzo pieno di speranza. E non c’è nessuno a tesserlo, solo noi.


 

Lascia un commento