“Coraggio” è, forse, una delle parole più fraintese, sfaccettate e calpestate: dal senso comune, da tanta narrativa, dall’automatismo che ci spinge a relegarla alla sfera dello straordinario e dell’eroico (termini, anche questi, di significato estremamente variabile). Nell’immaginario collettivo, il coraggio è un concetto che non si applica al vivere quotidiano, che vive esclusivamente nella memoria del passato e non è mai (o quasi mai) assunzione di responsabilità per il futuro.
Umberto Ambrosoli è figlio di un uomo che ha dedicato cinque anni della propria vita alla lotta contro la corruzione, e che ha pagato con la vita il proprio impegno: “non posso insegnare ai miei figli a non fare, per paura, ciò che reputano giusto”, diceva. Il suo è un esempio forte, ma non è da qui che suo figlio, in tempi (come di dice) del tutto cambiati, vuole partire per la propria riflessione: Ambrosoli chiarisce, con serena semplicità, di aver voluto scrivere di persone, di coraggio civile, di ciò che spinge il singolo individuo a uscire dalla mentalità dello sconforto e a smettere di pensare, una volta tanto, di non poter cambiare le cose da solo. E’ abitudine, di questi tempi, rifugiarsi in un passato ideale fatto di valori scomparsi: e se il coraggio fosse, invece, qualcosa di attuale? Se fosse davvero nostro compito costruire una realtà in cui, come ricorda Ambrosoli parlando del padre, non ci sia distanza tra l’io e gli altri?
Si capisce, a questo punto, quale sia l’errore nella concezione comune del coraggio: siamo talmente abituati ad associarlo all’assenza di paura e all’incoscienza che, spesso, lo usiamo come sinonimo di “temerarietà”. E ci sfugge un aspetto fondamentale: l’utilità, la necessità della paura, che se non viene ascoltata a dovere rischia di farci perdere la strada. Accogliamola e rispettiamola, dunque, senza che ci permetta di rinunciare: “la paura – dice Ambrosoli – ci serve per una maggiore acquisizione di consapevolezza, ma non per farci desistere.“
In un clima di generale sfiducia, la riflessione di Ambrosoli si pone, appunto, coraggiosamente controcorrente: anche in un contesto “magmatico” come quello della politica, in cui gli interessi individuali prevalgono spesso su quelli collettivi e la difficoltà nel determinare il cambiamento si sta facendo estremamente pesante, l’autore ci invita a non commettere l’errore di pensare che non ci riguardi. Assumiamoci le nostre responsabilità, anche semplicemente scegliendo di caricarci un piccolo peso sulle spalle e di condurlo, con coerenza e rispetto, alla destinazione. Avere coraggio, per Ambrosoli, significa innanzitutto “realizzare il senso della propria esistenza attraverso l’assunzione di una responsabilità”, dare un senso alla propria vita impegnandosi attivamente con un contributo disinteressato: una valida risposta all’egoismo dilagante, che impone il proprio interesse su quello altrui e ci educa all’ottica del “dare per ricevere di più in cambio”.
Proprio come le rane rosse dell’Amazzonia, che si caricano i piccoli sul dorso e non si stancano mai di scendere e risalire pendii per procurare cibo e migliorare, senza pretese, il loro microcosmo, prendiamo anche noi un po’ di coraggio (ne basta poco) e applichiamolo al nostro quotidiano: non è un eroe quello di cui abbiamo davvero bisogno.
Sono nata il 9 marzo 1996 a Pordenone, e frequento il secondo anno di scienze internazionali e diplomatiche presso il polo universitario goriziano. Sempre con il naso in un libro e scrittrice incostante, sono curiosa per natura e perennemente alla ricerca di qualcosa di nuovo (un qualcosa, però, di troppo spesso indefinito).
La musica è uno dei miei più preziosi alleati.