Le porte scorrevoli della stazione dei treni di Trieste ti si chiudono alle spalle. Scendi i tre scalini e non fai tempo a prendere fiato che l’angoscia del traffico cittadino già ti assale, una strada enorme senza strisce pedonali ti si para davanti, la fossa dei leoni tra te e il giardino di Piazza della Libertà.

Verso sinistra la situazione non pare migliore, ma a ben vedere a destra la strada sembra più limpida, più aperta, e scegli di imboccare questa via; non vedi altro che impalcature per i primi cento, duecento metri, ma da Piazza Duca degli Abruzzi ti rendi conto che qualcosa sta cambiando.  Animosamente le tue gambe camminano da sole, si respira un’aria diversa, e dopo aver finalmente superato quel terribile casermone pseudo fascista il mare ti si staglia davanti, e ti torna il buonumore. Più continui a camminare più ti rendi conto del contrasto, il traffico della città e i severi palazzi neoclassici a sinistra e il mare, immacolato, a destra, che si estende a perdita d’occhio.

Ma non serve arrivare a Piazza Unità, per essere indotti a fermarsi. Qualcosa ha catturato la tua attenzione; il mare si sta insinuando dentro l’asfalto, ti rendi conto di essere su un ponte; attraversi a fatica la giungla di macchine inferocite e imbocchi via Rossini, pedonale che costeggia il Canal Grande. Passi palazzo Gopcevich sulla sinistra, con i suoi motivi a strisce gialle e rosse che a lungo andare diventano ipnotici; è primavera, tira un venticello leggero e le barche sul canale ondeggiano mollemente. Passato il ponte Curto, più una passerella che un ponte, i bar con i tavolini sul canale sono gremiti di gente, e ti fermi volentieri a prendere un caffè. Andando a pagare sbirci tra le foto appese e vedi lo stesso canale in una stampa dell’ottocento, con i velieri a tre alberi, sembrano anche troppo grandi per entrare in uno spazio così angusto; non puoi fare a meno di immaginarteli adesso, anche se non si muoverebbero dal canale, essendo i ponti mobili stati sostituiti da ponti fissi, decisamente troppo bassi perché ci passi anche solo lo scafo.

Sul Ponte Rosso c’è una statua: un uomo con un libro sottobraccio assorto nei propri pensieri, un uomo che cammina per camminare, senza dover arrivare da qualche parte. È James Joyce, nientemeno. Sembra voler costeggiare la ringhiera del ponte per andare verso piazza della Borsa, ma non si muove, anche se ad una prima occhiata sembrerebbe di sì. Sei indotto a guardare dove guarda lui, verso piazza Ponterosso. Oggi è giorno di mercato, si sente profumo di pesce, donne ben oltre i cinquanta vestite di dubbio gusto che scrutano diffidenti la merce, fanno domande che neanche l’Inquisizione, e spesso se ne vanno stizzite. Guardando via Roma, si legge da lontano la scritta “Generali” di galleria Protti.

Ma il Canal Grande riserva ancora delle sorprese. Trieste è città d’incontri, e le cupole blu di San Spiridione si incontrano con la facciata a tempio greco e la cupola centrale di Sant’Antonio Taumaturgo; l’una serbo ortodossa, l’altra cattolica, entrambe ottocentesche ma di mondi diversi. L’imponente colonnato bianco di Sant’Antonio incombe sulla piazza, mentre i mosaici simil bizantini di San Spiridione, ampi e variopinti, fanno da contraltare a piazza Sant’Antonio. In mezzo il Caffè Stella Polare, uno dei caffè storici di Trieste, severo ed elegante nelle sue massicce colonne di pietra.

Sai che se continui per via Roma, verso piazza della Borsa, ci saranno molte altre sorprese; ma c’è ancora tempo, e per il momento la panchina dirimpetto alla fontana è un richiamo irresistibile. È una bella mattinata di aprile; con lo sguardo segui il percorso del canale verso il mare, e il passaggio delle macchine non riesce a nascondere la linea dell’orizzonte.

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