Esistono forse dei passi precisi, orme già stampate nella terra, o un sentiero che non conosca bivi, per il cammino di un viandante alla ricerca del proprio germe ancestrale, ambasciatore del futuro, nella terra dei Padri? E’ possibile sciogliere quei nodi antichi, che stringono e deviano i fili dello Spirito in una struttura dall’aspetto confuso? Quali sono le superfici arcaiche che saldano gli elementi in comunità, e quali gli spigoli eterei che determinano il singolo?

Da dove venite? A chi appartenete? Cosa andate cercando?

E’ facile avvicinarsi a Il paese dei coppoloni con la febbrile necessità di suturare i due lembi di Vinicio Capossela – musicante e romanziere, solitario ambasciatore di entrambe le arti; di scoprire quali note sopravvivano al silenzio della pagina. Al mattino del romanzo, l’enigma permane; ma come non scorgere nei tenori falliti e nelle vedove armate e nei guaritori dalla saggezza rurale le stesse origini di quel peruviano dondolante, della regina del Florida che serve al bar o della guardarobiera nera e del suo romanzo rosa; germi d’umanità di eroica e ignota tenacia, votati al sacrificio per i propri Luoghi; tormentati come galli d’India in albe d’eclissi. Una cultura popolare sterposa, nutrita dal calderone ribollente di un animismo terreno ma spirituale, pagano. Quale, tuttavia, la funzione di questi spettri coriacei, protagonisti da una manciata di facciate? Argini – più che personaggi – all’esistere torrentuoso del protagonista, confusi custodi e voci dei Siensi, i senni dell’intelletto; cittadini e forestieri di un onirico villaggio irpino.

Come in musica, così in letteratura: Capossela custodisce una scrittura personale e libertina. Le descrizioni, gelose, seguono una linea evolutiva che si presenta di spalle: assaporano e tratteggiano, fiutano e scorgono di lontano, per scoprire il proprio oggetto all’apice di curiosità e disorientamento. Ed è una prosa che ricalca con fedeltà uno dei caratteri più intimi delle mille figure che popolano quei monti campani, ovvero la singolare capacità a divincolarsi da ogni possibile paragone. Tanto sia sufficiente, se non alla giuria dello Strega, almeno al Lettore.

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