Siamo bionici.
È questo che ci rivela Cazzullo, l’editorialista e inviato del Corriere della Sera, “…grazie a una protesi che custodisce la nostra memoria e i nostri segreti, da cui ormai non ci possiamo più separare”. Naturalmente, parliamo del telefonino.
Nato come apparecchio dedicato esclusivamente a chiamate vocali, ora il cellulare è sveglia, bloc notes, torcia, casella di posta, calcolatrice, agenda, etc. Insomma, se lo perdiamo è un casino. Viviamo tutti nel terrore che finisca la batteria, o di non ricordarci quando ricaricare. Eppure non abbandoniamo lo smartphone, se non per poche ore al giorno.
In Metti via quel cellulare. Un papà. Due figli. Una rivoluzione, uscito con Mondadori a settembre 2017, Aldo Cazzullo, nelle vesti di padre, dialoga con i suoi due figli Rossana e Francesco, di 18 e 20 anni. Si assiste allo scontro tra due generazioni e due modi di pensare, per i quali il cellulare rappresenta rispettivamente una minaccia e una risorsa.
Cazzullo inizia lamentandosi di come le cene in famiglia ormai siano un dialogo a tu-per-tu con la cover dei cellulari dei figli. Non è possibile, dice, che la prima cosa che loro facciano una volta arrivati in albergo, sia chiedere la password del wi-fi. I figli rispondono di essere consapevoli di far parte di un’età rivoluzionaria, quella in cui il cellulare è parte integrante della nostra vita.
Ogni rivoluzione ha avuto i suoi «haters», i suoi odiatori: i luddisti volevano distruggere i telai a vapore, il treno era un’opera di Satana; c’erano quelli che non volevano viaggiare in automobile, quelli che rifiutavano di salire sugli aerei.
Il padre rincara la dose dicendo che la rete e il cellulare offrono sì grandi opportunità, ma i rischi e i danni collaterali sono forse di più. Ecco che così Trump vince a colpi di tweet, si distruggono i posti di lavoro, si consegna un enorme potere ai padroni del web. I rapporti umani si sviliscono, e perfino tra compagni di banco si comunica gomito a gomito via Whatsapp anziché a voce.
Nei decenni bui precedenti l’invenzione dello smartphone, esistevano le cabine telefoniche. E ognuna aveva un numero: non serviva solo per chiamare, poteva anche ricevere le telefonate. Gli amici componevano da casa il numero della cabina. Se suonava a vuoto, vuol dire che nessuno era uscito di casa. Ma a volte qualcuno rispondeva: «Sono qui, raggiungimi». E si faceva serata.
Una volta credevo che la tecnologia servisse a fare meglio e più in fretta le cose che si erano sempre fatte. La mail ad esempio sostituisce la lettera, anche se ovviamente non è la stessa cosa: la lettera richiedeva più tempo ma anche più riflessione, era destinata a lasciare un segno
È un problema di velocità?
Una volta le cose si facevano più lentamente, e di conseguenza con più cura. I tempi erano lunghi, le attese duravano giorni. Ora basta una buona connessione e l’invio dura qualche secondo. Le cose si fanno più in fretta e peggio, con meno attenzione, quasi con sbadataggine. La facilità del mezzo può essere uno svantaggio più che un vantaggio.
Cazzullo usa l’argomento cellulare come rampa di lancio per un tema più vasto, ovvero Internet. Ecco allora che si parla di cyberbullismo, pornografia e youtubers. Il web, secondo Cazzullo, è anche “un gigantesco sciocchezzaio”, quando non è un campo minato, e i ragazzini non sono adeguatamente controllati dai genitori. Purtroppo, talvolta, sono i genitori stessi a usare il cellulare come pochi anni fa si usava la tv, ovvero per far star buoni i figli e dargli qualche cosa da fare. Ecco che molti occhioni si puntano allora su Candy Crash e Clash Royale.
Il tono di fondo è amareggiato, e la paura che trapela è che lasciati senza mediazione, internet e i social diventino “uno sfogatoio di tutti contro tutti”. La rete spesso drammatizza ed esagera, ironizza fino all’eccesso e raramente perdona. A tratti il libro invece fa sorridere, come quando Cazzullo parla del correttore automatico del suo iPhone:
Io sono ignorante; ma lui lo è più di me. Prima ho scritto appunto Omero sullo smartphone e me l’ha corretto in «morto», poi in «omelette». Charles de Gaulle diventa Charleston del Grulle. La Shoah, «ahi ahi». Vasco Rossi per qualche misteriosa ragione diventa Asco (ma cosa vuol dire?). Renzi una volta è diventato re Renzo, cosa che forse non gli dispiacerebbe. Ma il correttore dell’i-Phone deforma persino il nome del suo inventore: Steve Jobs viene storpiato in Jobson.
L’autore sa che il sistema ricerca parole già digitate o usa le più comuni, ma “è pur sempre una macchina che pensa per noi, che scrive al nostro posto, che ci considera prevedibili (oppure che sa quanto siamo prevedibili). E questo mi dà un fastidio tremendo.”
A tutto ciò tengono testa i due figli, i quali rilanciano invece l’idea che internet sia uno spazio dove la condivisione vince sulla solitudine e dove la conoscenza si apre a tutti. Le notizie vengono diffuse più di prima, i disagi attenuati dal sapere che c’è qualcuno come te, la creatività incentivata, così come la voglia di prendere e prendersi in giro. Riconoscono però come “il vortice” della rete possa risucchiarti, e indurti a preferire la compagnia dei social più di quella di chi ti sta vicino. In ogni caso, dicono i ragazzi: “Ormai il cambiamento è avvenuto e non si può tornare indietro, bisogna trovare il modo di adattarsi a questa rivoluzione, traendone il meglio senza lasciarsi sopraffare.”
Infine, non bisogna pensare che la rete sia una Maestra Universale che sostituisce l’educazione di scuola, genitori e anche nonni. “Voi [genitori] mantenete sempre il vostro ruolo fondamentale di trasmettere valori, passioni e interessi,” dicono Francesco e Rossana.
Vivo in Carnia, a qualche minuto in bici da Tolmezzo, dal 30 luglio 1993. Dopo anni di inedia spirituale in un girone del liceo scientifico, prendo una boccata d’aria in Università a Udine, laureandomi in Turismo Culturale. Amo il sole sulle valli della mia terra, ma amo ancor di più le parole in nero su bianco. Scrivo per la rubrica Pensieri, raccontando agli altri le voci e le storie che incrocio e che mi lasciano qualcosa dentro.