Quando nel 1945 si spensero i cannoni, Pordenone era una città stanca ma non doma. L’eredità industriale dei cotonifici ottocenteschi — che avevano valso alla città l’appellativo di “Manchester italiana” — sopravviveva in parte, ma già si avvertiva un cambio d’epoca. I capannoni anneriti dalle bombe si stavano per riempire di un nuovo suono: quello delle officine meccaniche, delle ceramiche, delle fabbriche di elettrodomestici. Il motore del Friuli, dopo la guerra, tornò a rombare con sorprendente rapidità.
A partire da un ceto medio-piccolo che, formatosi nella precedente industria tessile e artigianale-manuale, aveva deciso di scommettere sulle proprie capacità, la produzione industriale crebbe a ritmi impetuosi, tanto che presto le fabbriche storiche si trovarono strette nel cuore della città. Nacque così un processo di disseminazione produttiva lungo l’asse pontebbano, verso Porcia, Cordenons, Fiume Veneto e Zoppola. L’espansione portò con sé un fenomeno sociale di grande portata: una crescente offerta di lavoro, che divenne calamita per migliaia di immigrati negli anni Cinquanta e Sessanta. In poco più di vent’anni Pordenone raddoppiò la popolazione, dando vita a nuovi quartieri, nuove abitudini e nuove forme di convivenza urbana.
La famiglia patriarcale, pilastro dell’ordine contadino, cominciò a incrinarsi. L’industria cambiava il ritmo della vita: turni, sirene, orari, salari. Tuttavia, il passaggio avvenne senza traumi profondi. Gli anziani continuavano a trovare un posto nel nucleo familiare, la domenica si pranzava ancora insieme nella casa colonica, mentre il focolare — spesso sostituito dalla cucina economica Rex — restava simbolo di continuità più che di rottura.
Nel primo dopoguerra l’agricoltura manteneva ancora il primato nel reddito complessivo della Destra Tagliamento (32%), seguita dal terziario (30%) e dall’industria (28%). Ma i numeri stavano già raccontando la transizione. La mezzadria e la colonia parziaria, modelli agricoli ormai anacronistici, si stavano sgretolando, mentre la seconda industrializzazione bussava con forza alle porte.
Le banche locali — sette istituti attivi fra il 1904 e il 1936 — registrarono una triplicazione della raccolta tra il 1946 e il 1951, segno di una rinnovata fiducia nel risparmio, considerato “l’unico strumento di riscatto sociale”. Sarà solo negli anni successivi che il credito diventerà carburante effettivo per l’industria.
Dietro la ripresa industriale si stagliano figure carismatiche di imprenditori che incarnarono lo spirito del tempo. Lino Zanussi, erede del fondatore Antonio, fu il principale artefice della metamorfosi. Partita da una piccola officina di cucine a legna in corso Garibaldi, la Officina Fumisteria Antonio Zanussi si trasformò in un colosso dell’elettrodomestico. Con la Super Rex 505, presentata alla Fiera campionaria di Pordenone nel 1947, il marchio divenne sinonimo di modernità domestica. Lino comprese che il successo stava nella diversificazione tecnologica: cucine a gas, elettriche, miste, e la collaborazione con colossi come Liquigas e Agipgas per la diffusione del gas in bombola.
Zanussi applicò una visione quasi keynesiana: la crescita di una grande impresa avrebbe generato benessere diffuso. Ma la sua filosofia era anche etica e personale: rispetto per i lavoratori, rifiuto della politica politicante, fiducia nel libero mercato come spazio d’innovazione. Non licenziava, preferiva formare. Non delegava, ma valorizzava. Fu, a suo modo, un capitalista umanista.
Accanto a lui si mosse Luciano Savio, erede di una tradizione meccanica pordenonese risalente al 1911. La Officina Savio passò dalle riparazioni di caldaie e torchi alla costruzione di macchine tessili di precisione. Savio, uomo di officina e di visione, investì in formazione tecnica quando Pordenone ancora privilegiava licei e istituti magistrali. Contribuì nel 1952 alla nascita dell’Istituto Professionale per l’Industria e l’Artigianato, convinto che la forza di un’azienda stia nella competenza dei suoi operai. Il suo Fondo Assistenza Savio (FAS) fu un’anticipazione del welfare aziendale.
E poi c’era Giulio Locatelli, mente dietro la Ceramica Scala. In piena guerra, nel 1942, aprì una piccola bottega di stoviglie, poi trasformata in una moderna industria ceramica. Fu tra i primi a intuire il boom edilizio del dopoguerra: convertì la produzione verso apparecchi sanitari, investendo in forni a tunnel e tecnologie d’avanguardia. Nel 1956 la Scala contava già 250 operai e rappresentava un modello di efficienza e crescita.
Ciò che distingue la ripresa di Pordenone dalle analoghe esperienze italiane è la relativa assenza di tensioni sociali violente. Scioperi e vertenze non mancarono, ma prevalsero la ricerca di compromesso e la volontà di dialogo. La comunità industriale si plasmò su un pragmatismo friulano fatto di laboriosità, riserbo e concretezza.
Negli anni Cinquanta e Sessanta, Pordenone divenne così non soltanto un distretto produttivo, ma un esperimento di modernità equilibrata. Le grandi famiglie industriali seppero traghettare un territorio agricolo verso la modernità senza perdere il senso della comunità. Il risultato fu una città che, pur cambiando volto, non smarrì la propria anima. Laddove un tempo rimbombavano i telai dei cotonifici, ora scintillavano le cucine smaltate e le macchine tessili: simboli di un’Italia che voleva — e sapeva — ricominciare.
Per approfondire:
- Giuseppe Griffoni, Viaggio nella memoria. Pordenone fra cronaca e storia. 1943-2000, Edizioni Propordenone, 2005.
Pordenonese, classe 1992. Ho conseguito il dottorato di ricerca in Studi storici tra l’Università di Padova, Ca’ Foscari di Venezia e l’Università di Verona. Mi sono laureato a Ca’ Foscari con una tesi sul rapporto tra l’università veneziana e la Dalmazia, premiata dall’Ateneo Veneto nel 2020. Mi piace pensarmi come uno spettatore di eventi che un giorno saranno considerati storia: ciò che viviamo oggi, domani sarà oggetto di studio e di riflessione. Per questo credo che raccontare e divulgare il passato sia una delle sfide più affascinanti. È anche il motivo per cui scrivo con passione per le mie amate Radici.