Sandro di Mariano di Vanni Pilipèpi, detto del Botticello o Botticelli (perché, secondo le testimonianze del Vasari sembrava avesse lavorato presso un maestro orafo di nome Botticello) fu uno degli esponenti di maggior rilievo nell’ambito dell’arte figurativa fiorentina a cavallo tra ‘400 e ‘500.

Il Botticelli lavorò per la casata De’ Medici e fu un fedele esecutore della loro politica: all’ambito politico-culturale si affiancò a partire dal 1481 una adesione al movimento religioso proposto dal frate domenicano Gerolamo Savonarola (1452-1498): proprio questo sentimento religioso diede l’ispirazione all’artista per la progettazione di innumerevoli opere.

Oggi tratteremo di uno dei quadri più famosi del Botticelli, Nascita di Venere.

Quest’opera, eseguita tra il 1484 e il 1485, ci ripresenta in chiave pittorica il soggetto delle Metamorfosi di Ovidio: il tema scelto denota il significato spirituale e trascendente che il neoplatonismo attribuiva alla bellezza, cioè alla dea Venere (qui rappresentata appunto): è per mezzo di essa che l’uomo può accostarsi a Dio.

La Venere presenta un atteggiamento improntato allo spiritualismo, come ci viene suggerito dalla scena: Venere è appena nata dalla schiuma ma è già donna, nuda su di una gigantesca conchiglia; nel medesimo tempo è sospinta da Zefiro, abbracciato a Clori, verso il litorale dell’isola di Cipro, dove Flora la accoglie porgendole un mantello ricamato di fiori vari.

Come si può ben notare, l’indagine paesaggistica non viene esplicitata: l’essenzialismo in questo termini connota l’ambito naturale che sta sullo sfondo; le onde del mare poi sono lievemente increspate a “V” e il litorale è una linea spezzata che si ripete e amplifica le curve del mantello di Flora: in questo modo la nostra attenzione si concentra preliminarmente sul groviglio dei corpi allacciati di uno Zefiro che soffia e di una Clori che sparge petali di rosa ma soprattutto sull’imperturbabile Venere che, grazie ad una flessione del capo verso sinistra, riequilibra l’evidente sbilanciamento verso destra della scena.

La dea viene delineata nella sua rosea evanescenza: la sfrangiatura dei suoi capelli mossi dal vento, la linea del corpo, continua e morbida, ci danno di Venere una idea di fragilità e delicatezza, confermata anche dalle spalle spioventi, dal braccio deformato e dal collo troppo lungo.

Tuttavia, dinanzi a questa meraviglia non possiamo che rimanere a bocca aperta, d’altronde la Venere rappresenta un po’ il momento di sintesi della poetica botticelliana: delicatezza e morbidezza del tratto.

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