“Perché Dio non soffia sul sole e lo spegne, che tutti si rotolino l’uno sull’altro nella lussuria, maschio e femmina, uomini e bestie? Fatelo alla luce del giorno, fatelo sulla mano di qualcuno, come le mosche!” (Georg Büchner, Woyzeck)

Teatro è oscenità. Esagerazione.

È il legame perverso tra lo stalker e la sua vittima: l’erotismo del farsi ammirare, la trasgressione, il violare le difese dell’intimità. Il palcoscenico vomita segreti inconfessabili, protetto dalla parente invalicabile che lo separa dal pubblico: un uomo sul palcoscenico è un uomo libero, di una libertà informe ed invadente. Cede alla tentazione dello sfogo, e vi cede impunemente.

È proprio la tentazione il tema di “È uguale per tutti”, spettacolo della compagnia BiraBirò di Milano diretto da Gianni Enrico Coluzzi, tenutosi ieri sabato 28 maggio al teatrino “Franco e Franca Basaglia” in chiusura del TACT Festival 2016. La tentazione come ammissione di colpevolezza di ogni singolo individuo, affermazione del relativismo anche per la legge: chi è veramente nella posizione di giudicare?

Si alimenta nel dramma la sete di esplosione, di sfogo della frustrazione. L’imputato è al centro della scena, con le spalle al pubblico. Il giudice è il popolo: il pubblico, la moltitudine informe, invischiata nella perversione della vendetta, dalla necessità di vomitare la mole di insoddisfazione sulle spalle di un uomo solo, né migliore né peggiore di altri. Quest’uomo non è un nome, ma il profilo di un personaggio: il soldato Franz Woyzeck.

L’omonimo dramma incompiuto di Georg Büchner, del 1837, si aggira costantemente tra i personaggi della scena senza essere mai apertamente nominato. Un’opera febbricitante, scritta da un uomo malato, morto di tifo nello stesso 1837, a ventiquattro anni. La storia di un uomo comune, un soldato ridotto a subire le peggiori angherie da parte del proprio Capitano e a fare da cavia umana per guadagnarsi due soldi, per mantenere moglie e figlio piccolo. La moglie lo tradisce: l’uomo impazzisce e la uccide.

Il soldato è colpevole, condannato dalla legge e dalla morale. E questo è fuori discussione. Ma un giudice ha il dovere di analizzare il movente, i retroscena del delitto, ed è qui che l’inquietudine si insinua nelle coscienze: perché un uomo che ha perso tutto è un uomo scavato nella propria umanità. Ciò che è umano sopisce la coscienza, la rende forte nel giudizio, ma se di un uomo non rimane altro che la carcassa, di chi è la colpa? Se un uomo è privato dal proprio ambiente della seppur minima dignità, fino a che punto detiene la colpa nelle proprie azioni?

Lo spettacolo non è ancora iniziato: sul palco una sedia bianca, su sfondo nero. Sopra il palco una scritta: tutti gli uomini sono uguali.

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