«Itaca ti ha dato il bel viaggio,
senza di lei mai ti saresti messo
in viaggio: che cos’altro ti aspetti?

E se la trovi povera, non per questo Itaca ti avrà deluso.
Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso
già tu avrai capito ciò che Itaca vuole significare.»

Stamattina il risveglio ha un sapore strano. Dopo venti giorni di viaggio e 1709 chilometri oggi finalmente arriverò a Capo Spartivento.

Smonto la tenda per l’ultima volta in questo viaggio, carico tutte le borse sulla bici e parto. Mancano solo tre chilometri, ma pago cara la crisi di fame di ieri: sono praticamente senza forze, non riesco ad andare a più di quindici all’ora, ma per fortuna oggi la tappa è cortissima. E finalmente, lento lento, arrivo sotto al faro di Capo Spartivento. Cavolo, quante volte ho guardato le sue foto su google mentre preparavo questo viaggio, e ora è qui di fronte a me. C’è un silenzio incredibile, persino il mare è completamente fermo. Ci siamo solo io e il faro. Non c’è nemmeno un filo di vento, e sì che io ero venuto fin qua per sentire il vento proveniente dall’Africa.

capo-spartivento-spiaggia

Trascino la Poderosa, ossia la mia bicicletta, sulla sabbia: anche le sue ruote devono toccarla, se la sono meritata. Poi vado a tuffarmi e faccio qualche bracciata lasciandomi la spiaggia alle spalle, e penso che è un po’ buffo, sono arrivato talmente tanto a sud che ora si può proseguire soltanto a nuoto. Dannazione, sono nel punto più a sud della penisola, non riesco a crederci!

Rimango a prender sole in questo luogo in mezzo al nulla, per un’oretta. Poi riprendo la bicicletta e, per la prima volta dall’inizio del viaggio, torno indietro: raggiungo la stazione di Palizzi, salgo sul treno per Reggio Calabria e poi pedalo fino a Villa San Giovanni, dove mi fermo per la notte. La mattina dopo salgo su un traghetto e sbarco in Sicilia, per passare una giornata a Messina: d’altronde come puoi passare in bici davanti allo Stretto senza fare un salto dall’altra parte?

traghetto

Il giorno dopo, finalmente, rientro alla casa di famiglia a Nicotera per passare una settimana di relax, vino e fritture di pesce: il ciclocomputer, alla fine di tutto questo giro, segna 1753 chilometri.

Ma il racconto su tutto questo girovagare degli ultimi due giorni di viaggio è superfluo; vale la pena, però, concludere questo reportage citando quello che ho pensato -e che ho scritto- quando, il giorno in cui ho raggiunto Capo Spartivento, mi sono buttato nel letto dell’albergo di Villa San Giovanni e ho tratto le conclusioni di questo viaggio.

«Sapete cosa c’è a Capo Spartivento? Niente. Nemmeno il cartello della località. C’è solo un faro che guarda l’Africa, ma è spento: mancano i soldi. A Capo Spartivento oggi non c’è nemmeno il vento: mannaggia, e io che avevo fatto tutti questi chilometri per vedere il punto dove secondo le storie dei marinai i venti si dividono e prendono direzioni diverse.
Però basta chiudere gli occhi e vedo tantissime cose, qui a Capo Spartivento. C’è Doriano, il porchettaro che vive in una roulotte a 900 metri di altezza in mezzo al nulla; c’è Federico, stava preparando l’esame di fisiologia, chissà come gli è andato; ci sono Matteo e Nicoletta che ieri mi hanno preparato un’amatriciana così buona che ne ho mangiate tre porzioni; c’è Mirko che stava preparando il giro di Polonia, chissà come sta andando; ci sono le piazze di Padova, la sagoma di San Luca, le nuvole e i girasoli della Toscana, i cipressi di Bolgheri, la tamarragine del Lazio, i pini dell’Appia, un rettilineo lungo 45 km senza una sola curva. Ci sono la pizza napoletana, i comuni vesuviani tutti attaccati e senza nemmeno un cartello (passi dieci paesi e sei convinto di essere nello stesso); ci sono strappi durissimi su strade semidistrutte da frane su cui non si riesce a salire nemmeno a piedi, discese a 60 all’ora tenendo una bici da 30kg tutta traballante, c’è quel caldo che ti fa sembrare si stiano fondendo le orecchie e c’è quel freddo…no, c’è solo caldo tra luglio e agosto; ci sono jet che ti passano a dieci metri sopra la testa a Ciampino e un’infinità di sensi vietati. Ci sono birre al Pigneto e ai centri sociali e cene di lusso ai Parioli. Ci sono giorni così faticosi che speri solo di farcela e ci sono giorni così belli che fai undici ore in sella, ti dimentichi di mangiare e rischi di svenire montando la tenda. Se chiudo gli occhi c’è questo e molto, molto altro, qui a Capo Spartivento; e alla fine il vento dell’Africa con un po’ di immaginazione riesco anche a sentirlo, qui a Capo Spartivento.»

faro

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