Dopo due giorni di riposo nella casa di famiglia, oggi riparto per il gran finale di questo viaggio. A Capo Spartivento mancano circa 140 chilometri: oggi farò gran parte della strada, e lascerò l’ultima manciata di chilometri a domani, in modo da fare una tappa leggera e avere più forze per festeggiare.

Va detto che, per seguire la strada, ho montato un porta-cartina sulla borsa da manubrio, e ho fatto una decina di fotocopie a una mappa dell’Italia: lungo la strada, più o meno ogni due giorni, ho finito un pezzo di cartina e ho cambiato foglio, mettendo quello della porzione d’Italia subito più a sud. Oggi, mettendo nel porta-cartina l’ultimo foglio, ho quasi un brivido vedendo che è quello con la punta dello Stivale.

mappa

Guardo la cartina pensando al percorso di oggi: è abbastanza semplice, si tratta di seguire tutta la costa, raggiungere Reggio Calabria e poi continuare finché avrò gambe.

Raggiungo Gioia Tauro, passo davanti al porto, e dal centro della città inizia una lunga salita che mi porta a Palmi; qui prego il dio delle salite di darmi pace, e di lasciarmi un po’ di discesa, ma oggi non è giornata: poco più avanti c’è una rotonda dalla quale parte una rampa bella ripida, e ovviamente è la strada che devo fare io. Dopo due o tre chilometri belli tosti finalmente la salita finisce, e raggiungo un altopiano molto bello. La strada è in falsopiano in discesa, e dopo un chilometro la discesa inizia a diventare mano a mano più ripida. Una curva a destra mi porta al di fuori dell’altopiano, e la strada si fa sempre più ripida. Un tornante a destra, poi uno a sinistra, poi un altro a destra e poi, al quarto tornante, rimango sconvolto. Di fronte a me si apre un’incredibile vista sul mare e là in fondo, che emerge delicatamente dalla foschia, la Sicilia. LA SICILIA.

sicilia

Non riesco a credere ai miei occhi, è una visione così bella e così pazzesca che sono costretto a fermarmi: sto gridando come un pazzo dalla gioia, e mi è venuto un attacco di tachicardia. Sono così in balia delle emozioni da essere costretto a sedermi sul guard-rail, perché non mi sento le gambe.

Ancora oggi, a distanza di qualche anno, faccio fatica a spiegare quello che ho provato in quel momento. Però partire dal Friuli in bicicletta, e qualche giorno dopo svoltare un tornante e trovarsi di fronte la Sicilia, lascia increduli. Forse perché è in quel momento che ci si rende conto di quanto a sud si è arrivati. Forse perché è semplicemente bellissima. Chissà.

Dopo cinque minuti riesco a risalire in bicicletta e a proseguire, e proseguo lungo la discesa: si fa sempre più ripida e me la godo al massimo. Attraverso Bagnara e finisco la discesa a Scilla, dove il terreno torna ad avere qualche saliscendi. Oggi, però, non sento minimamente la fatica: vedere la Sicilia mi ha dato una tale carica che non penso più alla fatica o al caldo, sono semplicemente troppo felice, e pedalo con una foga che non ho mai avuto lungo il viaggio.

Verso le tre del pomeriggio finalmente raggiungo Reggio Calabria e arrivo sul lungomare. C’è tantissimo vento, la Sicilia è vicinissima, non ci sono nuvole in cielo e il mare è di un blu intenso, e sono estasiato. Ne ho fatta di strada per arrivare fin qua, e capisco che aveva ragione D’Annunzio nel dire che questo è davvero il chilometro più bello d’Italia.

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Riparto proseguendo verso sud, lungo una stada che ha una meravigliosa vista sul mare e sullo stretto di Messina. C’è tantissimo vento, per fortuna soffia alle mie spalle, e mi sento felice come non mai. Raggiungo la punta sinistra dello stivale, doppio Capo D’Armi e mi trovo di fronte a una vegetazione incredibile: sono in quel tratto di una sessantina di km interamente esposto al vento dell’Africa, e i venti caldi provenienti da sud hanno contribuito a rendere la vegetazione simile a quella che si può vedere in un film western. È un posto unico, in tutta Italia non avevo mai visto niente di simile.

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Pedalo per questi sessanta chilometri che sembrano infiniti, la stanchezza inizia a farsi sentire: sono le cinque passate, e sono in sella dalle otto e mezza del mattino. Nove ore di bicicletta, e ho ancora venti chilometri da fare. Raggiungo Palizzi Marina, il comune più a sud dell’Italia continentale, che ormai sono le sette di sera; so che c’è un campeggio qualche chilometro più avanti, e faccio un salto in un supermarket per comprare un po’ di cose; poi esco dal paese e mi inerpico su una salitina. Arrivato in cima passo oltre un tornante, e dall’altro lato finalmente vedo in lontananza il faro di Capo Spartivento. Quante volte me lo sono sognato durante questo viaggio, e ora finalmente è là di fronte a me, a qualche manciata di chilometri! Ma, come dicevo, ci arriverò domani: oggi mi fermerò poco prima.

Concludo la tappa alle sette e mezza, dopo 11 ore in sella e 137 chilometri. Sono completamente esausto, e quando è il momento di montare la tenda mi rendo conto di avere fatto il più stupido degli errori che si possa fare durante un giro in bici: dal momento in cui ho visto la Sicilia mi sono lasciato prendere dall’euforia, e non ho fatto attenzione al modo in cui mi alimentavo. In soldoni, nelle ultime sette ore ho mangiato poco e niente: non ho idea di come ho fatto a non avere una crisi di fame durante la tappa, ma sicuramente si sta facendo sentire adesso, tanto da far fatica persino a infilare le palerie nelle asole della tenda. Finisco a fatica di montarla, decido di guardare cosa mi sono portato dietro per cena e mi rendo conto di aver la testa completamente tra le nuvole: quando sono entrato nel supermarket a Palizzi mi sono limitato a comprare un doccia shampoo e un Tronky. Ma cosa diavolo dev’essermi saltato in testa, per comprare solo quelle due cose? Fatto sta che ora sono in questo campeggio in mezzo al nulla, senza cibo e senza forze, e non so come fare per mangiare.

Ma il bello dei viaggi è che proprio in momenti come questo accade sempre l’imprevisto: e in questo caso si tratta dei miei vicini di tenda, due famiglie dei castelli romani che mi vedono tutto solo, si avvicinano e mi dicono “’A ci’, ma che stai da solo? Perché se voi veni’ noi stasera se famo n’amatriciana, che taa magni co’ noi?”. Che bellezza. In una località quasi sconosciuta al resto d’Italia, in questo buco in mezzo al nulla, senza cibo e senza speranze ho trovato dei magnaccioni che si sono portati in campeggio persino UN FRIGO ALTO UN METRO E MEZZO pieno di bottiglie di Chianti, pecorino e guanciale. Accetto subito la proposta, e mangio la pasta più buona della mia vita. Rimaniamo a tavola tre orette parlando di tantissime cose, io e degli sconosciuti che ho conosciuto un’ora fa e domattina vedrò per l’ultima volta, ma pare di conoscerci da una vita.

Finora non ho detto che, durante il viaggio, una delle domande che facevo più frequentemente è stata “Quanto manca per Padova? Quanto manca per Bologna? Quanto manca per Montecatini?”, l’avrò fatta migliaia e migliaia di volte. Ora, dopo oltre millesettecento chilometri, finalmente ci sono quasi. So già che a Capo Spartivento mancano meno di tre chilometri, ma QUELLA domanda la devo fare comunque. È uno sfizio che mi devo togliere assolutamente.

“Scusate se vi chiedo… ma quanto manca per Capo Spartivento?
“Zi’, ormai è fatta. Ormai ci sei.”

palizzi

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