“Scusi, per andare verso sud esiste una strada alternativa?”
“No figliolo, questa l’è l’unica.”
Peggio di così non poteva andare. Sono sull’Aurelia e dieci km fa è iniziata la sesta tappa, con partenza da Castiglione della Pescaia. È andata bene fino a Grosseto, percorrendo una bella e comoda pista ciclabile… ma da Grosseto in giù le indicazioni mi hanno portato su quella che formalmente è una statale, ma sostanzialmente è una superstrada: due corsie per senso di marcia divise da una barriera al centro, corsie di accelerazione, auto che sfrecciano a 130. Non c’è nemmeno uno straccio di corsia di emergenza, e le auto mi sfiorano a velocità folli.
“L’è l’unica strada, dicevo. Se vuoi puoi anda’ pe’ dentro, ma so’ strade difficili…”. Guardo verso dove punta il signore di fronte a me, sta indicando delle colline in lontananza. Controllo la mappa in corrispondenza di quei rilievi, mi rendo conto che allungherei troppo la strada, e tra l’altro ci sarebbe anche parecchia salita. Niente da fare, tocca restare su questa strada terrificante sperando che Dio me la mandi buona. L’importante è stare concentrati e tenersi più a destra possibile, che sarà mai!
Passo i successivi novanta chilometri a testa bassa, stando sempre attento a non fare uscire la ruota anteriore dalla striscia bianca posta al limite della carreggiata, tirando un sospiro di sollievo ogni volta che una macchina mi fa il filo e non mi prende in pieno. Ecco, oggi è esattamente quel genere di tappa in cui quelli come me si chiedono “Ma chi te l’ha fatto fare, stupido idiota?”, e non vedono l’ora di arrivare a fine giornata e buttarsi a dormire.
Non c’è nemmeno nessuno spunto panoramico o incontro curioso, oggi: è proprio una giornata da incubo. Dopo centodieci km finalmente esco da questa strada terribile e arrivo sano e salvo a Tarquinia Lido. Monto la tenda in un campeggio, vado a farmi il bagno e subito dopo… inizia a diluviare, naturalmente.
Sono davvero sconfortato. La spiaggia si svuota in un secondo, anche perché ormai è quasi ora di cena, e anche io corro a ripararmi. Però alla fine il diluvio mi fa un bel regalo: in un quarto d’ora si esaurisce e ritorna il sole, e io ne approfitto per tornare in spiaggia con la classica birretta da passeggio. Tutti i villeggianti sono a cena, e posso godermi uno stupendo tramonto sentendo solo le onde del mare. La giornata è stata pessima, ma con questo tramonto si va in pareggio. E per giunta domani sarà una grande, grandissima tappa. Nonostante tutto riesco ad andare a dormire sereno.
Sveglia presto, colazione al bar, e tornando alla mia piazzola incontro i signori della tenda accanto. Chiacchieriamo un po’, gli racconto da dove vengo, poi passiamo a parlare della tappa di oggi.
“Signo’, da qui a Roma quant’è?”
“Aho, nun è gnente, saranno novanta chilometri… pe’ te che vieni dar Friuli so’ na passeggiata!”
Sono così contento che quasi mi vien da baciare il mio vicino di tenda. Oggi si arriva nella Capitale. Sono a un centinaio di chilometri da Roma, dove ho una parte delle mie origini e fino a poco tempo fa andavo ogni anno a fare le vacanze dalla nonna: il solo pensiero di stare per raggiungerla in bicicletta mi fa impazzire, era un mio sogno da diverso tempo.
Faccio i bagagli in fretta, parto e grazie a Dio oggi posso evitare di proseguire sull’Aurelia: percorrerò una strada costiera fino a Ladispoli, poco più a sud di Civitavecchia, e da lì punterò verso l’entroterra.
L’aria è fresca, c’è il mare accanto alla strada e una leggera brezza a farmi compagnia, e la mia testa pensa solo una cosa: Roma, Roma, Roma, Roma, Roma. Passeggiare per Campo de’ Fiori, mangiare tonnellate di quella pizza quadrata e sottile buonissima, rivedere il Pantheon, farmi una birretta in piazza a Monti…
Anche oggi non mi fermo a parlare con nessuno né a far foto ai panorami: sono troppo concentrato sull’arrivo, non vedo l’ora di raggiungerlo. E infatti ci metto pochissimo, alle due del pomeriggio davanti a me compare quel cartello. ROMA. Esulto come un pazzo, e raggiungendo il centro cerco di arrivare davanti al Colosseo. Ma, come dicevo nelle puntate precedenti, ho un pessimo orientamento: sbaglio tantissime strade finché a un certo punto, più per caso che per altro, mi trovo davanti la basilica di San Pietro. Proseguo cambiando strada e finisco a Castel Sant’Angelo; da lì in qualche maniera riesco a raggiungere l’Altare della Patria, e ormai è fatta. Giro l’angolo e in lontananza vedo il Colosseo. Quanto mi mancava.
Poco dopo incontro mia sorella, che vive e studia in città, e mi preparo a fare due giorni da turista: ormai ho già fatto sette giorni in bicicletta, ed è meglio passare almeno una giornata senza pedalare, per fare recuperare i muscoli. E poi come si può fare una semplice toccata e fuga a Roma? No, questa città bisogna godersela.
In questi due giorni non visito nessun museo, sto sempre per strada, anche perché in fin dei conti questa città è un museo a cielo aperto: passare le due giornate a camminare a caso e perdermi per il centro della Capitale è di gran lunga l’opzione migliore. L’ultima sera vado a dormire tardissimo, quasi alle due, pronto alla seconda parte del viaggio. Domani prevedo di raggiungere Gaeta, a una manciata di chilometri dalla Campania: ormai ci siamo, ormai è quasi Sud Italia.
Studio Giurisprudenza a Trieste e mi piace fare foto a pellicola, ma questo conta poco: la mia più grande passione è viaggiare in bici. Ho un pessimo orientamento, e grazie a ciò ho scoperto quanto sia stupendo perdersi in lungo e in largo in giro per l’Italia. Sono una totale frana in ambito meccanico, e per non avere problemi tecnici mi affido a riti scaramantici: parto sempre col piede sinistro e ascolto sempre Sean Paul prima di partire. Per ora ha funzionato.