La sveglia suona alle sei e mezza. Sono a pezzi.
Ieri sono stato a gozzovigliare in piazza Capitaniato fino all’una e mezza del mattino, quindi ho dormito sì e no cinque ore e ho due tronchi di legno al posto delle gambe.
La tappa di oggi prevede di raggiungere Bologna passando per Rovigo e Ferrara: da Prato della Valle si seguono le rotaie del tram in direzione sud, fino all’uscita dalla città, e da lì si imbocca la Strada Battaglia. Si tratta di una strada piacevolissima da percorrere al mattino: l’aria è fresca, c’è una pista ciclabile separata dalla carreggiata e accanto alla quale scorre un bel canale dove qualcuno si ferma a pescare, il tutto contornato dalla presenza dei Colli Euganei alla mia destra.
Supero rapidamente Rovigo e dopo una manciata di chilometri giungo al ponte sul Po. Mi viene in mente il pensionato che ieri mi ha detto di stare attento, che da qua in giù son tutti terroni. Frase che curiosamente mi perseguiterà quasi fino alla Campania. Raggiungo Ferrara, breve sosta per mangiare una piadina e ripartenza. Ormai sono le due del pomeriggio: si muore di caldo, ma per lo meno sto percorrendo una strada stupenda. Si tratta della Porrettana, una statale che inizia proprio a Ferrara, attraversa la campagna fino a Bologna e da lì si inerpica sull’appennino, passando per Marzabotto e terminando a Pistoia. Nella prima parte, fino a Bologna, si tratta di una campagna con colori bellissimi e in alcuni tratti ci sono alberi giganteschi a fare un po’ di ombra sulla strada: è un vero piacere farla in bici.
La cosa curiosa di questa campagna padana è il fatto che a volte ci sono dei semafori in mezzo al nulla, il senso dei quali mi sfugge: mentre sono fermo a uno di questi semafori si ferma accanto a me una vecchia Fiat 131 Mirafiori mezza scassata, con una sgangherata bici attaccata al tetto e un guidatore sulla trentina, che mi fissa sorridendo. Si distende nell’abitacolo e abbassa il finestrino dal lato del passeggero.
«Dove vai?»
Ed ecco il mio primo incontro interessante di questo viaggio. Dopo aver accostato si presenta, si chiama Adriano, fa l’architetto e un altro sacco di cose: parliamo di ciclismo, sci, fotografia, Emilia, Eritrea. Mi racconta che tra i vari viaggi che ha fatto una volta ha portato una jeep fino in Africa per conto di una ONG e poi passa a raccontarmi di quella volta che gli hanno dato una vela in mano e ha iniziato a fare kitesurf. Parliamo davvero tantissimo, quasi per un’ora, e a un certo punto mi rendo conto che mi mancano ancora trenta km e inizia ad essere tardi. Ci scambiamo numeri e contatti di facebook e riparto.
Dopo una curva finalmente si intravedono i Colli e la sagoma di San Luca: per me, che amo Bologna e adoro Lucio Dalla, raggiungere in bici questa città è sempre emozionante, e oggi è la terza volta in vita mia ad avere questa fortuna. Anche la seconda tappa è conclusa, dopo 135 km. Domani si inizia a fare sul serio, domani c’è l’appennino: sarà una giornata lunga!
La mattina dopo mi sveglio presto, pimpante e parecchio teso: la tappa di oggi sarà breve rispetto alle precedenti, solo 110 chilometri, ma di questi 90 saranno in mezzo alle montagne.
La primissima parte di strada la percorro pensando a un libro che adoro: infatti per uscire da Bologna imbocco via Saragozza, quella delle corse di Jack Frusciante è uscito dal gruppo. Uscito da Bologna i primi colli dell’Appennino sono già là di fronte ad aspettarmi, e in un attimo mi dimentico dei lunghi rettilinei della pianura padana che ho visto ieri: adesso la strada fa un sacco di curve in leggera salita, poi una breve discesa, poi una curva secca a destra e un altro strappo… sarà così per altri cento chilometri.
Oggi pedalo praticamente sempre da solo. Lungo tutta la strada incontro solo due ciclisti, e le auto sono pochissime. Ci siamo solo io, un sacco di curve e un sacco di monti: passo gran parte del tragitto a parlare ad alta voce e a canticchiare, abitudine che mi resterà per tutto il resto del viaggio. Attraverso Marzabotto, dove un cartello ricorda l’eccidio, e poi Porretta Terme, dove un signore sulla quarantina mi dice di stare attento, che dopo l’Arno son tutti terroni. In sostanza mano a mano che scendo lungo l’Italia i terroni restano, ma sono sempre un pelo più a sud di quanto non lo fossero prima: non so se ridere o piangere. Anche perché io sono per metà calabrese, quindi se non fosse per gli amici siciliani sarei il più terrone fra i terroni.
Da qui comincia l’ultima salita: lunga circa 30 km, per arrivare in cima al passo della Collina. La pendenza è bassa, è una salita molto facile, ma è la lunghezza che esaspera. Con la bici da viaggio a una media di 20 orari vuol dire che impiegherò più di un’ora a finirla. Passo il tempo contando i km mancanti sul computerino, e a duemila metri dalla fine della salita il Dio dei ciclisti si materializza davanti a me sotto forma di roulotte di un porchettaro.
Appoggio la bici, ordino un panino -ovviamente con la porchetta- e mi siedo a mangiare. Il gestore esce dalla roulotte e si siede con me a chiacchierare: si chiama Doriano, è da qualche anno che si è stufato di vivere in città e ha deciso di passare gran parte del tempo in mezzo ai monti. Vecchio democristiano, sfoglia davanti a me il Corriere e commenta con accento toscano tutte le notizie, aggiornandomi meglio di quanto saprebbe fare Mentana. Oltre alle notizie parliamo della sua vita in montagna e poi mi dà qualche informazione sulla strada che ancora mi aspetta: «A fine discesa giungerai a Pistoia, e a un certo punto vedrai un panificio e lì devi svoltà a destra. Poi l’è tutto sommato semplice, giusto un po’ di mangia e bevi (saliscendi, nel gergo toscano) ma leggero… ma a un certo punto dovrai passare per Serravalle, e lì c’è da soffrire, dè. A Serravalle ‘un sali nemmeno a piedi, dè, l’è troppo ripido.»
Riparto e dopo due chilometri imbocco una galleria parecchio lunga, oltre un km. A un certo punto mi rendo conto di non stare più pedalando: sono in discesa! È FINITA LA SALITA DI TRENTA CHILOMETRI!! Riprendo a pedalare pieno di gioia, in fondo alla galleria c’è un curvone a sinistra dopo il quale mi si apre di fronte una delle cose più belle che si possa vedere dopo aver valicato una catena montuosa: la pianura toscana, tutta di fronte a me, e sotto alle ruote dieci chilometri di discesa bella ripida, una discesa come si deve. La faccio correndo come un pazzo, anche perché devo frenare il meno possibile per non surriscaldare i freni: la bici, carica di borse e pesante 25 chili, raggiunge i 62 km/h e traballa tantissimo. Dopo tutte le salite che ho fatto oggi, scendere a rotta di collo con una bici che faccio fatica a controllare, col vento nei capelli e ammirando la Toscana tutta di fronte a me… è una sensazione di libertà meravigliosa. Che gran figata!
Raggiungo la fine della discesa, giro a destra al panificio e dopo una decina di chilometri vedo il cartello che temevo: Serravalle. Qualche metro dopo si erge un muro bello ripido, c’è da sputare pallini, ma sono troppo contento di essere in Toscana e mi sento imbattibile. Riesco a superare senza problemi la salita.
Una breve discesa e in una manciata di chilometri arrivo a Montecatini Terme, dove mi fermerò per dormire, per poi ripartire.
In tre giorni ho attraversato tre regioni italiane: una bella sfaticata, ma adesso sono davvero dentro al viaggio fino al collo. Mi sento vivo e felice come poche volte in vita mia, tanto da fare fatica a prendere sonno.
Studio Giurisprudenza a Trieste e mi piace fare foto a pellicola, ma questo conta poco: la mia più grande passione è viaggiare in bici. Ho un pessimo orientamento, e grazie a ciò ho scoperto quanto sia stupendo perdersi in lungo e in largo in giro per l’Italia. Sono una totale frana in ambito meccanico, e per non avere problemi tecnici mi affido a riti scaramantici: parto sempre col piede sinistro e ascolto sempre Sean Paul prima di partire. Per ora ha funzionato.