“Se niente ha senso, è meglio non fare niente piuttosto che qualcosa. Specialmente se quel qualcosa è tirare pietre perché non si ha il coraggio di arrampicarsi su un albero.” Con queste parole Pierre Anthon sfida i protagonisti del romanzo Niente di Janne Teller, ma indirettamente anche tutti noi: la sfida di raccontare il significato della vita e far cambiare idea al bambino che la considera niente.
In questa figura di Pierre Anthon, arrampicato su un albero, ritroviamo una figura distorta del Barone rampante di Italo Calvino, con la differenza che in questo caso si tratta di un “corvo gracchiante che dice le cose come stanno, guardando dal recinto mentre gli altri animali si affannano”. Avendo capito che nulla ha senso in questa vita, cerca di svegliare i suoi giovani coetanei a suon di susine crude lanciate dall’alto, portando ogni giorno un’altra amara evidenza riguardo l’esistenza, invitando a “diventare parte del fuori di niente per non pensare più a nulla”.
Raccolta la sfida del trovare il significato della vita, comincia questo gioco da ragazzi: accumulare ciò che è importante, anche a costo di perdere ciò a cui si tiene di più. Comincia così una serie bizzarra di dispetti e sacrifici che tutti devono fare per dimostrare a Pierre Anthon ciò che è importante, che si tratti di giocattoli, di bici, o altre cose che diventano via via più profonde ed emozionalmente più cariche, un percorso di crescita obbligatorio, in cui il significato si trova nelle cose tolte con la violenza: come i capelli blu di Rikke Ursula, ovvero ciò che la rendeva unica, che porta alla perdita della propria identità. O come il tappeto di preghiera di Hussain che va a finire nella catasta, che simboleggia la perdita della spiritualità, e il fatto di non essere un buon mussulmano toglie l’identità al bambino. O la perdita dell’innocenza di Sofie, che da la chiave per qualcosa di importante che snatura l’esistenza stessa della ragazza. Come questi, altri esempi che vanno a toccare vari aspetti della vita, in questa sorta di ricerca di autodistruzione data dalla necessità di trovare un significato, che porta inevitabilmente al nichilismo.
È in questo ammasso di cose, che hanno perso significato una volta allontanate dalla personalità unica di ognuno, che i ragazzi trovano il motivo per cui la vita ha un senso: nell’atto estremo della morte, nel suo essere niente più elevato, si trovano a capire che è la vita stessa a dare significato alla vita. Questo niente, il nichilismo totale non è altro che un inno alla vita, che vale la pena di essere vissuta nonostante la violenza del tentativo di sottrarle significato.