To the Last Man (1923), di Victor Fleming,  è vagamente ispirato a Romeo e Giulietta, in cui Montecchi e Capuleti si chiamano Isbel e Jorth. E’ un western delle origini, con interessantissimi piani lunghi e lunghissimi, macchine capaci di seguire scene di inseguimenti e last minute rescues. Gli Isbel si sono rifugiati nella selvaggia e deserta Arizona di fine ottocento. Dopo dieci anni pacifici, vengono raggiunti dai Jorth, il cui capo Lee vuole vendicare una faccenda passata, di cui incolpa Gaston, il capo degli Isbel. Più azioni accadono contemporaneamente: i Jorth, banditi e malviventi, rubano il bestiame agli Isbel; e nel frattempo John Isbel (figlio di Gaston) ed Ellen (figlia di Lee) si conoscono ed innamorano. Il loro amore tuttavia è costruito in modo complesso: ci sono scene di ambiguità, già vicine ai nascenti melodrammi. Lei non mostra subito il suo amore, ma lui non si arrende. Il loro amore è impossibile per via dell’odio delle due famiglie, che ad un certo punto si dichiarano apertamente guerra. Tutti muoiono nella famiglia Isbel, affrontati vigliaccamente di nascosto dai Jorth, lasciando vivo soltanto John (da cui il titolo del film). Ferito a morte, riesce a sfuggire alle minacce degli ultimi seguaci dei Jorth, di cui sono rimasti soltanto due esponenti (Lee stesso muore durante i loro scontri), e inspiegabilmente, dopo aver sentito che Ellen lo ama, a differenza di quello che pensava, riesce a recuperare le forze, dimenticare che stava morendo fino a due minuti prima, e nonostante tutti i suoi parenti siano stati sterminati, si consola con l’amore di Ellen, la quale finalmente lo accetta dopo mille peripezie.

Il film presenta molti aspetti interessanti. In primis, la gestione dello spazio e del tempo faranno scuola ai western successivi di John Ford. Inoltre, c’è uno degli stereotipi che faranno grande la Hollywood Classic: il dualismo tra buoni e cattivi è rimarcato da elementi facilmente distinguibili. I buoni sono seri e attaccati ai valori della famiglia (infatti c’è la presenza di donne e bambini), e i cattivi ridono sempre, sono rozzi e si ubriacano.

Il modo in cui Fleming gestisce le scene comiche presente all’interno di un film drammatico è eccezionale. Tuttavia non si capisce perché in scene in cui le didascalie indichino che si è di notte, è palesemente giorno, e invece altre sono molto ben gestite, con le presenze di luci molto basse, fiaccole e lampade ad olio.

To the Last Man è in complesso un film emozionante. Non tra i migliori dell’epoca. Pecca in molte scelte stilistiche, ma in compenso è un buon film, divertente e coinvolgente seppur senza troppe pretese. Il pubblico si è divertito molto soprattutto grazie al personaggio imprevedibile di Ellen, la quale trascina la narrazione in modo superbo, dando quel colorito al film che altrimenti sarebbe mancato.

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