È un sabato sera d’agosto. La strada, quella del ritorno. La jeep guidata da Hamid, beduino dell’antica tribù Gebeliah, sobbalza sul tracciato accidentato che collega il Monastero ai resorts balneari di Sharm el-Sheikh. Sta calando la notte nel deserto e un’enorme luna piena ha rubato il posto al sole, delineando i profili scuri delle dune ai bordi della strada.
Ho trascorso le ultime due settimane nel Monastero di Santa Caterina del Sinai dove, assieme alla mia relatrice di dottorato, stiamo catalogando uno dei tesori che il monastero conserva: i codici palinsesti, vergati nelle molteplici lingue della cristianità ortodossa.
“Palinsesto” è parola che deriva dal greco, e significa “raschiato di nuovo”, con riferimento al processo di produzione della pergamena che, prima di dirsi pronta a fungere da supporto scrittorio, deve essere accuratamente raschiata. Il “di nuovo” implica però un passaggio in più: è più volte accaduto, perlopiù fra X e XIV secolo, che un codice manoscritto già interamente allestito sia stato preso, smembrato, e la sua scrittura cancellata dai fogli, così da poter riutilizzare la pergamena e dunque scrivervi nuovamente sopra. Lo potremmo definire una sorta di riciclo ante litteram.
La biblioteca del Monastero di Santa Caterina possiede molti di questi codici (più di 150, risultando così una delle biblioteche più ricche al mondo per numero di palinsesti) e l’obiettivo del gruppo di ricerca di cui faccio parte è quello di rendere leggibile quanto non lo è più, penetrare nella pergamena e ridare voce a testi che si pensavano cancellati e perduti per sempre.
A renderlo possibile è la sinergia fra studiosi provenienti da ambiti disciplinari completamente diversi. Il progetto di cui faccio parte si chiama Sinai Palimpsests Project (diretto da Michael Phelps) e di esso fanno parte esperti di manoscritti (codicologi, paleografi e filologi) specializzati in lingue come greco, arabo, siriaco, georgiano, armeno, latino, slavo, etiope; ma non solo. C’è anche chi si dedica a immortalare i fogli manoscritti nel migliore dei modi possibile. E non con semplici foto. Per far apparire quanto non è accessibile ai nostri occhi non è sufficiente la luce normale, ma è necessario spostarsi oltre la soglia del visibile. Le foto che scattiamo sono infatti dette multispettrali: 33 scatti per ciascun foglio, ciascuno a una lunghezza d’onda differente, dall’ultravioletto all’infrarosso. Le immagini che ne risultano sono ottime, ma non ancora totalmente intellegibili all’occhio umano. Sono necessarie delle migliorie.
Ed è a questo punto che intervengono gli imaging scientists, i maghi dell’elaborazione digitale, studiosi eclettici che si cimentano con qualsiasi cosa riguardi l’immagine e la vista (dalla fotografia all’ottica, passando per la visione artificiale e la psicologia cognitiva). Tutti loro hanno studiato, o insegnano, al Rochester Institute of Technology di Rochester (NY), dove è sorto il primo Center for Imaging Science al mondo. Centro che mi ha ospitata fra aprile e maggio di quest’anno per un mese intensivo di formazione. E non a caso: proprio a Rochester George Eastman fondò la Kodak e inventò la pellicola fotografica. Gli scienziati dell’immagine elaborano le foto sulla base di algoritmi da loro inventati con lo scopo di produrre immagini migliori, cioè più leggibili.
Non era mai successo che tecnologie sviluppate in campo medico o software pensati per il telerilevamento da satellite venissero utilizzati per far rivivere antichi testi dimenticati. I risultati di questo lavoro interdisciplinare e di gruppo si stanno rivelando davvero molto promettenti e dalla fine del corrente anno saranno liberamente accessibili on-line.
Da parte mia, in questo progetto mi occupo di diversi compiti: in situ, al Monastero, della descrizione codicologica dei manoscritti; a Vienna – dove sono dottoranda – del coordinamento del lavoro dei paleografi, della gestione dei dati raccolti, e del database che stiamo creando e che a breve sarà in rete. Inoltre, dal momento che l’aspetto pratico tecnico-scientifico mi ha da sempre affascinata, sto imparando – grazie all’aiuto di colleghi sparsi un po’ in tutto il mondo – a realizzare immagini multispettrali e successivamente a manipolarle, in autonomia, in modo da divenire il più possibile indipendente, per il mio dottorato (per il quale mi occupo di tre di questi manoscritti palinsesti) e non solo.
Luci e musica annunciano il villaggio che mi ospiterà per una notte prima della partenza per Vienna. Uno sguardo al cielo: la luna è impallidita. Chiudo gli occhi. Riecheggia nella mente il battito inconfondibile del simantron che col suo suono sordo invita il monaco e il fedele alla preghiera e che ha scandito le mie giornate di lavoro al Monastero. Voce antica nel silenzio del deserto.
Per saperne di più: il sito (in costruzione) del Sinai Palimpsests Project
Nata a Pordenone, classe 1990. Si autodefinisce “classica”. Studia pianoforte, pratica la danza classica e si laurea in lettere antiche presso l’Università degli Studi di Padova e la Scuola Galileiana di Studi Superiori. Vive in una delle capitali della classicità: Vienna, dove – presso l’Istituto di Studi Bizantini e Neoellenici – svolge il suo dottorato e collabora a diversi progetti di ricerca. Ama i manoscritti, il greco, la matematica, i viaggi, la fotografia.