Siamo entrati nelle ultime settimane prima del giorno in cui saranno passati quarant’anni dalla tragica scomparsa di Pier Paolo Pasolini.
Quel maledetto 2 novembre 1975.
Di tutte le creative e polifoniche definizioni che gli sono state affibbiate, lui ne favoriva una, anzi, se ne teneva stretta una: scrittore.
Il valore della scrittura, per Pasolini, era sacro; sebbene questa non fosse altro che l’ultimo simulacro evanescente del ventesimo secolo, ultimo feticcio di un uomo dalla cultura immensa, che però ha sempre preferito i microcosmi suburbani alle vanità mondane, per quanto non disdegnasse nemmeno far veleggiare la sua anima tra i grandi personaggi dello spettacolo e della letteratura di quell’epoca.
Un po’ per vanità, un po’ per piacere personale.
Pasolini è stato grande, immenso, ancora indecifrato e indecifrabile sotto molti aspetti, e forse nessuno riuscirà mai ad eguagliare la sua potenza profetica, il suo stile soave e arcigno al tempo stesso, ma anche il suo – paradossale –essere dissacrante e accomodante al tempo stesso.
Eppure era “soltanto” uno scrittore.
“La morte non è nel non poter comunicare, ma nel non poter più essere compresi” scriveva nei primi anni ’60.
Spesso, troppo spesso non è stato compreso, anzi.
Spesso, troppo spesso è stato frainteso, volontariamente.
Esiliato dal suo stesso Friuli, non dimentichiamolo. Messo al bando dal Partito Comunista.
Disegnato come un mostro dalla stampa nazionale.
Eppure.
Eppure i suoi scritti, corsari e fieramente indipendenti, li rileggiamo volentieri.
Eppure si scrive ancora di lui. Eppure rimane ancora insuperato.
Eppure nessuno è riuscito a mangiare il Maestro. Nessuno.
Pasolini era tutto, Pasolini era niente.
Un Cyrano la cui Rossana era la più temibile delle tragedie greche. Solo l’amare, solo il conoscere, conta; così diceva il Poeta.
E questo era il suo tiranno interiore, che lo costringeva a soffrire in maniera dannata per i suoi sentimenti.
Una dannazione autoinflitta, sia ben chiaro. Era lui stesso la sua ferrea Morale.
Usando un espediente logico da lui tanto amato, direi: troppo poco comunista per essere un cattolico.
Questo era Pasolini.
Una piccola introduzione al microcosmo pasoliniano, che tratterò nelle prossime settimane, per cercare di riscoprirlo.
Non racconterò il “Pasolini inedito”, ma cercherò di spiegarne i significati attuali e perché, dopo quarant’anni, piangiamo ancora così crudelmente la morte del Poeta.
Sono friulano, ho vissuto a Roma cinque anni. Io di anni, invece, ne ho 25. Mi sono laureato in Scienze Politiche presso l’Università Luiss Guido Carli.
Mi nutro di comunicazione (politica e non), ho partecipato attivamente e con diversi ruoli a molte campagne elettorali.
Attualmente lavoro in un’agenzia di comunicazione interattiva come Digital Strategist, a Pordenone.
“Solo l’amare, solo il conoscere conta” è la frase che mi rappresenta e che mi accompagnerà per sempre.