Fulvio Mattioni è un economista friulano, che da anni si occupa di ricerca su temi dell’industria, dell’occupazione e della situazione macroeconomica del Friuli-Venezia Giulia. Ha scritto un libro (RilanciaFriuli. Oltre la decrescita infelice e la specialità faraonica del nuovo Millennio. Editore: L’Orto della Cultura) per raccogliere una serie di riflessioni scritte negli ultimi anni sulla politica economica regionale. Quello di Mattioni è uno sguardo critico e severo, senza peli sulla lingua, che offre una visione disincantata della situazione economica attuale, proponendo però anche alcune vie d’uscita.
Noi de L’oppure lo abbiamo intervistato a Pordenone, in occasione di un incontro pubblico per presentare il suo libro e le sue ricerche.

Da ormai un anno si parla di ripresa per l’Italia, ripresa che sembra si stia consolidando. Addirittura in alcune regioni siamo ritornati ai livelli occupazionali pre-crisi. È così per il Friuli-Venezia Giulia?

A livello italiano la ripresa vuol dire quattro anni consecutivi di PIL positivo e con una ripresa dell’occupazione. A livello del Fvg, invece, soffriamo ancora soprattutto nell’area friulana. La ripresa da noi non si è avviata e i dati del 2015 sono tutti negativi, ora attendiamo quelli del 2016 che spero finalmente di segno positivo. In ogni caso è necessaria una strategia RilanciaFriuli per agganciare la ripresa nazionale e trainare l’intera economia regionale.

Nel suo libro cita una frase di Livio Paladin (Presidente della Corte costituzionale negli anni ‘80) che vedeva nel governo dell’economia l’unica ragion d’essere della specialità del FVG. Ammesso che, a qualsiasi livello di governo, sia possibile governare l’economia, cosa potrebbe fare la Regione per guidare l’economia regionale verso la crescita? Ha ancora un senso la specialità da questo punto di vista?

Deve lasciar perdere la politica delle infrastrutture e degli interventi faraonici documentati nel mio libro RilanciaFriuli con riferimento agli ultimi vent’anni. Opere come la Terza Corsia, una struttura che serve a un livello nazionale o europeo, non possono essere sostenute dal bilancio regionale. Bilancio che è già stato impoverito in passato da altri interventi come il regalo di 370 milioni fatto allo Stato italiano dal protocollo Tondo-Tremonti del 2010.
L’autonomia che ci consente la specialità, invece, deve essere usata in modo utile per i corregionali contemporanei come le politiche del lavoro, quelle formative e di creazione d’impresa.

In questi ultimi anni sono state realizzate alcune riforme a livello regionale, su tutte la riforma delle UTI, come le giudica? Hanno reso il Friuli-Venezia Giulia più efficiente?

La riforma delle UTI è stata assolutamente disastrosa. Si dovevano decentrare competenze dalla Regione ad opportune aggregazioni di Comuni ovvero a soggetti più vicini al cittadino. Non solo non è stato fatto ma si è creato un livello ulteriore di burocrazia, perché il singolo Comune e l’UTI di appartenenza devono individuare e dividersi (con fatica) le funzioni precedentemente svolte dal Comune. Credo che sia la prima riforma da riformare già nel 2018.

Spostandoci invece sul versante imprenditoriale, ci sono aziende e settori che sono riusciti a superare la crisi? C’è ancora futuro per l’industria, in particolare per il manifatturiero?

La base imprenditoriale si è ristretta perché abbiamo perso imprese. Una parte di quelle rimaste si è rafforzata nella crisi mentre una piccola parte ancora ne soffre le conseguenze. Credo proprio che bisogni ripartire dal manifatturiero perché, essendo una Regione piccola, si possono mantenere gli attuali livelli occupazionali (o accrescerli) soltanto attraverso la componente estera della domanda. È altresì cruciale soddisfare la domanda estera tramite le varie forme di turismo nostrano (balneare, montano, congressuale, culturale, ecc.). Insomma, dobbiamo valorizzare tutte le nostre risorse perché non si butta mai via quello che sai fare, meno che mai se non sai come sostituirlo.

Un paper recentemente pubblicato da due economisti italiani (Luigi Zingales e Bruno Pellegrino per Chicago Booth Stigler Center), individua nel familismo e negli scarsi investimenti in tecnologia la principale causa del calo di produttività, e quindi di competitività, per le aziende italiane. È una diagnosi che va bene anche al Friuli-Venezia Giulia?

Sicuramente il fatto che la famiglia abbia un ruolo determinante nelle imprese può essere un vincolo perché occorrono sempre più capitali (e competenze manageriali) per effettuare nuovi investimenti, in particolare in tecnologia. Si potrebbe superare questo ostacolo facendo una legge sulle aggregazioni di impresa, utile anche a raggiungere le dimensioni opportune per aggredire i nuovi mercati esteri più lontani e introdurre la figura del consulente tecnologico per le piccole imprese.

Tutto ciò ha riflessi sull’occupazione, in particolare quella giovanile: oggi in FVG molti giovani faticano a vedere una prospettiva credibile per il proprio futuro. Come se ne esce?

La politica del Friuli-Venezia Giulia dovrebbe occuparsi dei giovani ridando centralità alle politiche del lavoro e della formazione. Purtroppo noi abbiamo chiuso l’Agenzia Regionale del Lavoro nel 2013 nonostante fossimo stati i primi in Italia ad averla introdotta nel 1985. La mia proposta è di confezionare almeno 20mila voucher di inserimento lavorativo nella prossima legislatura, rendendo protagonisti della propria formazione e del proprio inserimento lavorativo i giovani, lasciandoli liberi di scegliere il percorso di formativo e l’impresa presso cui svolgere uno stage in accordo con le aziende del territorio. Servirà poi una nuova Agenzia Regionale del lavoro e della Formazione per valutare questo tipo di interventi.

Cosa consiglierebbe oggi a un giovane friulano: andarsene o rimanere?

Rimanere, soprattutto se la prossima legislatura dimostra di curarsi di loro. Oggi molti giovani se ne vanno perché a loro non è data nemmeno l’opportunità di mettersi alla prova: chi torna dall’estero è contento perché ha ricevuto un giudizio, sa dove deve migliorare e quanto vale. Dare loro una chance di inserimento lavorativo e sociale non solo è un dovere sacrosanto ma è anche una esigenza di vitalità della nostra economia e società futura: una società anziana non è sostenibile con una economia in calo.

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