Tra ieri sera e questa notte, per la seconda volta, Parigi ha vissuto nel terrore. Più di centocinquanta vittime, alle quali si aggiunge un danno di entità incalcolabile: la perdita della certezza della propria libertà, il dubbio che si insinua tra un pensiero e l’altro mentre si cammina per strada. “Sarò al sicuro?”: questo si chiedono, oggi, milioni di cittadini. Non solo cittadini francesi, non solo cittadini europei, ma cittadini nel senso più generico che possiamo attribuire a questo termine: quello che è successo a Parigi è semplicemente la punta di un iceberg, il risultato di anni di conflitti che continuano ad insanguinare, giorno dopo giorno, il pianeta. Una macchia indelebile, uno stigma impossibile da cancellare.

 

Viene spontaneo, superato l’iniziale sgomento, andare alla ricerca di un colpevole. E’ nella nostra natura: subito un torto, pretendiamo che esso sia immediatamente riconducibile ad un individuo o ad un’entità specifica. Circoscritta e misurabile, esattamente come lo siamo noi nel momento in cui ci troviamo indifesi di fronte all’attacco. In casi come questo, però, in cui la minaccia è talmente vasta ed eterogenea da non poter essere considerata un tutto unitario, ci sentiamo perduti; sappiamo troppo bene che il colpevole materiale, quello che in un bar o in una sala per concerti ha sparato sulla folla e sugli ostaggi, non è il colpevole reale ed effettivo. Non c’è nessuno a cui attribuire la causa della nostra sofferenza, e questo acuisce – se possibile – il dolore e la frustrazione.

 

Di fronte a una perdita così grave, l’unica scelta possibile – l’unica via percorribile – è quella dell’umanità. La solidarietà non conosce lingua, cultura, religione o schieramento politico: non accaniamoci, dunque, nella ricerca di un responsabile (reale o immaginario), ma restiamo umani. Semplicemente, senza grandi gesti o grandi parole, a qualunque latitudine. Stiamo vicini a chi a Parigi ha perso qualcuno, e anche a chi l’orrore lo vive quotidianamente; difendiamo, nel nostro piccolo, i valori che, se rispettati, non avrebbero permesso la violenza di cui siamo stati (e siamo) testimoni. Agiamo per la nostra libertà di cittadini, per il diritto di sentirci al sicuro, in ogni parte del mondo.

 

I nostri pensieri vanno oggi a Parigi e, di riflesso, all’umanità intera. #PrayForParis: siamo liberi di farlo o non farlo, di rivolgerci a qualunque Dio, ma senza dimenticare il motivo per cui lo facciamo. E ricordandoci che non esiste, e mai esisterà, preghiera o religione che inneggi alla violenza.

 

Il team L’oppure

Lascia un commento