Cercare sul dizionario una parola della quale ignoriamo il significato è un’operazione – per noi oggi – tanto usuale da risultare scontata. Ma come nasce l’idea stessa di un oggetto capace di raccogliere e descrivere tutte le parole di una data lingua? La storia di quegli strumenti lessicografici che noi comunemente chiamiamo “dizionari” è estremamente articolata e ha radici profondissime. Il capitolo del quale ci occupiamo oggi è quello della lessicografia greca, cioè di tutta quella produzione paraletteraria, nata dal tentativo di rendere più comprensibili testi greci antichi a lettori greci non così antichi.

Le prime testimonianze lessicografiche risalgono al III sec. a.C., quando gli studiosi dell’appena fondata Biblioteca di Alessandria si trovarono a confrontarsi con un’immensa quantità di testi (da Omero ai poeti lirici, dal teatro alla storiografia) contenenti parole ed espressioni ormai non più in uso, che avevano bisogno di essere spiegate ai lettori contemporanei. Dai loro studi nacquero raccolte di glosse: γλῶσσα era l’etichetta scelta già da Aristotele per indicare le parole difficilmente comprensibili perché cadute in disuso, oppure perché proprie dell’uso poetico o di parlate locali. Queste raccolte erano incentrate su un singolo autore o su una singola opera, o ancora erano relative ad un intero genere, oppure ad una specifica tematica.

Nell’ultima categoria rientrano, ad esempio, i Ναυτικά di Apollonio Rodio, che riunivano termini inerenti alla navigazione, ma non mancano titoli a dir poco bizzarri, come le Ὀψαρτυτικαί γλῶσσαι di Artemidoro (una raccolta di “parole difficili riguardanti la cucina”) e il Περὶ βλασφημιῶν, “sugli insulti”, di Svetonio (sì, proprio quello delle Vite dei Cesari!). L’apparente stranezza si giustifica alla luce del fatto che questi lessici erano probabilmente prodotti collaterali a studi sulla poesia giambica e sulla commedia, nelle quali il cibo e il banchetto avevano un ruolo essenziale, e il ricorso al turpiloquio e all’attacco personale era frequentissimo.

Parallelamente al proliferare di questi lessici ‘settoriali’, l’età imperiale vide anche la nascita di una tendenza lessicografica ‘universale’, orientata alla massima inclusività e rappresentata in particolare dal monumentale lessico di Panfilo (I sec. d.C.) e dalla sua epitome, ad opera di Diogeniano (I-II d.C.). Quest’ultimo è tra le fonti dichiarate di Esichio, lessicografo alessandrino di V sec. d.C., la cui opera ci è giunta (in forma ampiamente rimaneggiata) in un unico manoscritto, custodito nella Bibioteca Marciana di Venezia. Nella lettera prefatoria alla sua opera, Esichio scrive: “tanti altri tra gli antichi hanno raccolto parole in ordine alfabetico […], ma gli uni solo i termini omerici, come Apione e Apollonio, gli altri esclusivamente quelli della commedia e della tragedia, come Teone e Didimo e altri simili. […] Non esiterò a dire con franchezza che avendo a disposizione le raccolte di Aristarco, di Apione e di Eliodoro, accrescendo i libri di Diogeniano, che è la mia prima e maggiore fonte, […] non ho tralasciato nessun termine affrontato da loro, ma molti, non trovandoli, li ho aggiunti”.

In poche righe, la prefazione esichiana presenta quelli che saranno i due aspetti fondamentali della produzione lessicografica greca fino alla piena età bizantina: la molteplicità di fonti e il continuo rimaneggiamento a scopo innovativo. Siamo ancora lontanissimi dalla scientifica esaustività dei dizionari contemporanei, ma – forse proprio per via di questa natura quasi sperimentale, mai fissata e sempre mutevole – i lessici greci risultano testi sui quali lavorare è tanto complesso, quanto tremendamente affascinante.

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