Con la nostra macchina del tempo finalmente giungiamo a destinazione. Dopo aver assistito al turbolento primo ‘500, ed aver scampato a morte certa, la fine del ‘600 è decisamente un secolo migliore per esplorare e rilassarci secondo i ritmi dell’epoca. Da quando comanda Venezia non si sono più registrati episodi importanti o di rilievo: da circa cento anni guerre, carestie o problemi vari non affliggono più la città. Certo, sono due secoli che Venezia fa da padrona secondo i suoi modi, ma tutto sommato è un bene: Pordenone, non essendo integrata nella Patria del Friuli, gode di privilegi che altri centri locali non possiedono, oltre a un notevole sviluppo economico e commerciale.

Siamo nell’anno 1672. La città ci appare molto più vicina ai giorni nostri. Siamo di fronte alla Loggia: finalmente sulla facciata sono comparsi i pinnacoli laterali e la torre centrale: quest’ultima, come ancora ai nostri giorni possiamo vedere, ha un grande orologio astronomico-lunare. La sua funzione è presto detta: è un orologio con particolari meccanismi e quadranti che mostrano informazioni relative alla posizione del Sole e della Luna rispetto allo Zodiaco, oltre a indicare ovviamente l’ora. Sulla sommità della torre, ai lati di una campana, sono comparse due statue che noi sappiamo essere simbolo della città e del precedente dominio austriaco ma che per l’epoca sono noti come “mori”. Finalmente, ci diciamo tra noi, è diventato l’edificio che siamo soliti avere sotto gli occhi: ci sentiamo già un po’ più vicini a casa.

Sotto un grande pennone battente il vessillo di San Marco, proprio davanti alla Loggia, notiamo un foglietto svolazzante. Ci avviciniamo e lo prendiamo in mano. E’ una sorta di notiziario dell’epoca: sono riportati diversi fatti accaduti forse recentemente. Forse, perché, essendo ben lontani dall’invenzione del telegrafo, le informazioni giungevano solo via messaggeri o via posta: un evento capitato in un determinato momento dell’anno poteva esser conosciuto anche uno-due mesi dopo, se non oltre. Il tempo dipendeva dalla distanza tra il luogo dove avveniva e il luogo in cui la notizia arrivava, senza contare eventuali problemi o deviazioni lungo il percorso.

Leggiamo cosa c’è scritto: curiosamente la lingua usata non è il veneto ma l’italiano (seppur con qualche parola o nota di veneziano). Sembra assurdo, poiché uno stato unitario ancora non esisteva, eppure le notizie, come pure gli atti notarili o delle istituzioni, venivano redatti nella lingua di prestigio della penisola, appunto l’italiano. Questo ovviamente non valeva per il parlato in senso generale, poiché anche tra nobili di uno stesso stato si parlava il dialetto. Ciononostante l’italiano era usato anche in altri ambiti, essendo per l’epoca una lingua franca e/o commerciale: per fare un esempio, un mercante napoletano per farsi capire da un collega milanese, e viceversa, usava l’italiano. Nel caso di un veneziano, forse, si sarebbe usato anche il veneto coloniale, che all’epoca era l’inglese del Mediterraneo orientale.

Il foglio, scritto a mano, non riporta grandi notizie: dice solo che le armate francesi di Luigi XIV stanno sempre più dilagando nelle Province Unite (odierni Paesi Bassi), più qualche informazione sulle relazioni commerciali di Venezia nel Veneto, in Istria, Dalmazia e con l’Oriente ottomano. Verso il basso notiamo una nota che ci interessa direttamente: si avvisava che da Pordenone partivano navi per trasporto viaggiatori. Il 1672 è l’anno in cui finalmente i collegamenti dalla città con la Serenissima si ampliano al punto che tramite il Noncello non transitano più solo merci e mercanti ma anche persone comuni. Poiché non sembra ci sia nulla da fare in città, decidiamo di sperimentare questo sistema di trasporto.

Giungiamo al porto sul fiume: sulla banchina notiamo diverse barche di piccole-medie dimensioni. Saranno lunghe si e no una ventina di metri. Tutte possiedono due vele, una piccola sulla poppa e una grande, la principale, sulla prua. Non hanno un grande pescaggio sott’acqua, circa mezzo metro, il che le rende perfette per il trasporto fluviale o lagunare. Su una di queste si stanno caricando legna da ardere (probabilmente per le vetrerie), lana, carta, lino e seta, prodotti localmente o nei dintorni. In un’altra si stanno scaricando oggetti di lusso, stoffe, oggetti di vetro ben lavorati, stoviglie e simili. E’ questa d’altro canto la vita del porto, anche fluviale.

Verso la fine della banchina una decina di persone in fila si sta imbarcando su una barca decisamente diversa, poco più grande delle altre, senza vele e con una sorta di cabina-salotto decorata finemente, elegante e ben in vista: dev’essere un burchiello, l’imbarcazione fluviale per trasporto passeggeri. Ci mettiamo in coda pure noi. Nell’attesa sentiamo parlare alcune persone tra loro in tedesco: siamo gli unici locali in tutta la fila.

Finalmente giunge il nostro turno per imbarcarci. Il marinaio all’ingresso, intuendo che non possediamo molto, ci chiede come pagamento di sborsare uno zecchino d’oro. Una bella cifra che noi, purtroppo, non abbiamo. Gli chiediamo pertanto se possiamo pagare l’equivalente in altra maniera: fortunatamente con noi abbiamo un sacchetto pieno di gazzette. La gazzetta era una moneta di mistura, con poco argento, coniata un po’ ovunque nella Repubblica, già dagli anni ’30 del XVI secolo, ed era utile per piccole transazioni. All’epoca, si usava per comprare uno dei primi “giornali” in circolazione, il cui costo era infatti una gazzetta. Non è un caso quindi se ai giorni nostri c’è un quotidiano nel Triveneto che si chiama “Il Gazzettino”.

Il pezzo di carta che abbiamo letto poco fa doveva essere, per l’appunto, il giornale per eccellenza dell’epoca: i “fogli di notizie”, di una sola facciata, scritti a mano e distribuiti una volta al mese, non erano il frutto di un’impresa editoriale ma corrispondevano a un’iniziativa del governo della Repubblica. Spesso le notizie divergevano da zona a zona e per data: quello che abbiamo raccolto davanti alla Loggia doveva essere unicamente veneziano, non pordenonese di certo dato il contenuto. Ed è proprio da Venezia che si diffuse in Italia e in Europa la tradizione del quotidiano. Sorprendente, vero?

Tirato fuori un listino dei prezzi, il marinaio ci fa sapere il prezzo in questa moneta: circa 320 gazzette, ma poiché gli siamo simpatici ci fa pagare la metà, appena sufficiente per l’andata. Paghiamo e gli chiediamo alcune informazioni su chi fossero questi tedeschi. Ci risponde che sono  viennesi in visita d’affari a Venezia, arrivati con una corriera postale circa due-tre ore prima. L’imbarcadero di Pordenone, come pure molti altri, è infatti uno scalo usato dai commercianti d’Oltralpe per raggiungere più velocemente la Laguna. Effettivamente ci si impiega di più arrivare via terra che non via acqua, senza contare i disagi della carrozza: un po’ come oggi preferiamo il treno all’auto per andare a Venezia. Detto questo ci imbarchiamo. Entriamo nella cabina e sediamo su una comoda sedia. Prossima fermata la capitale, Venezia!

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