Via Marco Polo è una strada molto grande, a quattro corsie ma a senso unico, l’unica grande arteria della città, troppo grande per una città del genere. Si interseca a molte strade più o meno importanti, ma da qualunque strada si riversano sempre nella via fiumane interminabili di macchine strombazzanti e piene di fumo. Precisamente davanti alle grandi strisce pedonali sull’incrocio tra via Marco Polo e viale Dante Alighieri sta un negro, uno di quelli che più o meno discretamente attirano l’attenzione dei passanti su ciò che stanno cercando di vendere. Quasi nessuno si ferma a guardare le sue perline, i suoi braccialetti, i suoi ombrelli: ma lui non ci fa caso, non si scoraggia e senza remore accalappia il prossimo passante, sempre con il sorriso sulle labbra e chiamando tutti “amico”. Ben presto la gente comincia a deviare il proprio percorso formando un’isola da cui egli si sbraccia e si agita senza riuscire a dissipare il mare formatosi intorno a lui. Quando lui si sposta, il mare di spazio vuoto lo segue e lo circonda, come un polo negativo in mezzo a tanti poli positivi. I “ciao amico” si fanno via via più insistenti, le risa e gli scherzi si sprecano, il negro cerca di individuare in ogni passante un dettaglio particolare che potrebbe fornire lo spunto per una conversazione, ma inutilmente. Succede però ad un tratto che comincia a piovigginare; più la pioggia insiste più lui è raggiante, adesso molta gente colta alla sprovvista si avvicina con riluttanza per comprare un ombrello.

Ci sono tuttavia quelli che caparbiamente preferiscono sopportare la pioggia, e tra questi c’è una donna distinta, alta e avvolta nel suo cappotto lungo, con i lunghi capelli biondi raccolti in uno chignon nero. Ogni cosa è in lei perfezione geometrica, ogni cosa è pensata al minimo dettaglio. Senza pensarci il negro la ferma con un “ciao amica!” e un sorriso a cui mancano tre denti, e lei lo guarda subito inorridita, come se davanti a lei fosse improvvisamente apparso uno scarafaggio gigante: a malapena bofonchia un “no grazie” e si dà alla fuga. Lui ormai ha già cambiato obiettivo, ma nota che lei si è appena fermata al semaforo sulle strisce di via Marco Polo: le macchine sfrecciano mentre lei attende il verde battendo convulsamente il piede per terra. Era giallo quando ha incontrato il negro e per colpa sua non è riuscita ad attraversare, e come se non bastasse lui sta tornando alla riscossa. A nulla valgono i reiterati “no grazie” “non mi interessa”, lei cerca anche di abbozzare un sorriso per non farsi vedere troppo intollerante ma questo si rivela un errore fatale, perché il negro si sente incoraggiato e riparte all’attacco più stolidamente di prima. Lei non sa cosa fare, guarda il semaforo che si ostina a rimanere rosso, comincia a perdere la pazienza, pensa che potrebbe continuare per via Marco Polo, ma le prossime strisce sono lontanissime e allungherebbe inutilmente la strada. Vista l’insistenza del molesto venditore lei cerca continuamente di allungare le distanze, ma più lei si muove verso la strada, più lui la segue. È deciso a non farsi scappare questa occasione.

La pazienza giunge a un limite. Lei si gira verso di lui e ha già aperto la bocca per urlargli in faccia quando improvvisamente la travolge una macchina rossa.

Sbatte sul vetro, vola sopra la macchina, e di nuovo per terra. Il negro guarda la scena attonito. La donna insanguinata a terra emette qualche rantolo: ha gli occhi azzurro pallido spalancati verso il cielo, respira velocemente ed affannosamente. Le sembra che ad un tratto il mondo cominci a muoversi al rallentatore, le luci girano vorticosamente avanti e indietro, avanti e indietro… i rumori indistinti intorno a lei si fondono in un cupo sottofondo tenue e ovattato, come un tremolo costante di timpani che non accenna né ad affievolire né tanto meno a crescere. Sente un gran dolore sulla nuca, che gratta contro il ruvido asfalto, e si volta poggiando sull’orecchia destra. Il suo sguardo incrocia quello del negro che è rimasto con i braccialetti e gli ombrelli in mano, con lo sguardo incatenato a quello della donna, un contatto da cui non riesce a staccarsi, si divincola, ma è come se una forza impalpabile lo inchiodasse a terra…

E senza preavviso, senza che la sua volontà possa impedirlo, gli si staglia nella mente il ricordo di Akwasibah, sua prima moglie quando viveva a Bangui, in Repubblica Centrafricana, la sua Akwasibah che ha amato tanto teneramente quanto era nelle sue forze, la sua Akwasibah che ha visto stuprata e dilaniata a coltellate da un gruppo di miliziani cristiani durante la guerra civile. I soldati li attaccarono mentre pregavano in una moschea di Bangui perché sospettati di fare parte dei jihadisti della coalizione Seleka. Fecero uscire la gente e bruciarono la moschea, colpendo tutti i civili che capitavano loro a tiro. Akwasibah fu la prima ad uscire, e la più attraente tra le donne presenti, e fu presa da cinque miliziani. A nulla valsero le grida di suo marito.

Akwasibah aveva lo stesso sguardo di questa donna in mezzo alla strada, una donna così diversa, nordica, così pulita rispetto a una negra qualunque, e lui si sentiva come in quel momento dieci anni fa, tenuto da due uomini e insanguinato per i colpi ricevuti, costretto a guardare ciò che veniva fatto a sua moglie. Dopo una strenua resistenza si era accasciato a terra, non riusciva ad aprire la bocca, ma guardava la sua Akwasibah che fissandolo negli occhi si accomiatava da questo mondo, un pezzo per volta. E ora, in un luogo così lontano ed estraneo, lo stesso sguardo, lo stesso inconfondibile sguardo gli penetra nelle viscere prosciugandolo di ogni forza vitale, impedendogli la minima reazione.

Quell’episodio fu il motivo principale che lo spinse a raggiungere la Libia a piedi ed imbarcarsi verso l’Italia.

Era filato tutto liscio fino a questo momento, fino a questi pochi interminabili secondi, secondi in cui l’uomo inchiodato a terra comincia a rendersi conto della circolarità della sua esistenza, del fatto che questo momento segna la fine di un ciclo, la congiunzione dei due capi dello stesso filo, la fine di un lungo viaggio non solo attraverso la terra e il mare e di nuovo la terra, ma anche attraverso le immagini di quel giorno di dieci anni fa.

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