Bisogna sfatare un mito: che le rivalità tra città siano una caratteristica italiana non è del tutto vero. Inimicizie storiche tra nuclei urbani si trovano un po’ ovunque in Europa. Tuttavia da noi tali rivalità hanno una motivazione in più, almeno nel centro-nord Italia, riassumibile nella definizione di città-stato medievale. Definizione, questa, che già conosciamo dall’antichità greca e che ha il massimo sviluppo nei conflitti di buona parte del medioevo. Sappiamo, ad esempio, che tra Treviso e Venezia, nel XIV secolo, non scorreva buon sangue, vuoi per questioni legate al commercio, vuoi per argomenti di controllo sul contado. La cosa più interessante è che queste tensioni e inimicizie erano presenti anche tra borghi di ridottissime dimensioni.
Pordenone e Cordenons. Due nomi simili: la prima è una città che deve il suo nome a un porto, la seconda a un possedimento signorile. Portus Naonis e Curtis Naonis, ossia Porto sul/del Noncello e Corte sul/del Noncello. Il nome non è il solo elemento che lega le due città: Pordenone, infatti, fu fondata dai cordenonesi, i quali, distrutto il più antico porto di Torre ad opera degli eserciti del Patriarcato d’Aquileia, chiesero un contributo economico al duca di Stiria Leopoldo VI per la costruzione di un nuovo scalo fluviale che potesse rivitalizzare i commerci sul Noncello. Il periodo è quello noto, il XIII secolo, tra il 1194 e il 1230.
Ed è proprio a partire dal XIII secolo che questo nuovo scalo sul Noncello ebbe un’esplosione in termini di espansione sociale e urbanistica. In tempi brevissimi se si pensa che nel 1274 il porto aveva già il suo castello, attorno al quale si formerà il nucleo urbano vero e proprio. Pordenone, per la sua posizione strategica, aveva già in essere tutti i caratteri di superiorità rispetto alle realtà vicine: a poco a poco infatti avrebbe eroso il predominio della più antica Cordenons. Un predominio interno alla casa d’Austria (anche Cordenons, come Pordenone, era un possedimento imperiale) che non venne direttamente intaccato fintanto che il Porto non assunse un dichiarato controllo nei confronti del circondario.
La società pordenonese, infatti, grazie soprattutto al fervente spirito mercantile, divenne presto eterogenea, espansiva e dinamica in ogni settore, dalla produzione alla politica. Quella cordenonese invece restava arroccata nella sua indole rigida e chiusa, derivata dall’ambiente prevalentemente rurale: era difficile amalgamarsi con la comunità emergente, senza contare che volutamente i cordenonesi, pur avendo delle proprietà, non avevano intenzione di partecipare alla vita pubblica di Pordenone. Basti solo pensare che mentre a Pordenone vigeva il diritto romano, a Cordenons vigeva ancora quello longobardo delle origini.
Non ci volle tanto tempo perché le due realtà cominciassero a pestarsi i piedi: verso la seconda metà del XIV secolo, i cordenonesi, spinti da propositi rivendicativi non ben definiti, dovevano essere diventati elementi organizzatori e fomentatori di ribellioni in tutta la zona allo scopo di contrastare il potere di Pordenone. Non potendo affrontare direttamente la città con uno scontro militare, cercarono di sfruttare il malumore che serpeggiava tra le piccole comunità del circondario e all’interno della città stessa.
Nel mentre i Signori di Zoppola informavano l’Imperatore che Cordenons si stava dotando di imponenti mura per poter accogliere tutti coloro che desideravano distruggere il predominio di Pordenone. Tuttavia Cordenons non aveva un tale peso da ergersi come portabandiera del territorio contro la città fluviale. Di fatto, dai comunicati austriaci a noi pervenuti, non risulta che si sia arrivati a scontri rovinosi tra le comunità. Le tensioni quindi continuarono anche nel secolo XV: da un lato vi era una città in continua espansione e ascesa, dall’altro una città che, inutilmente, tentava di mantenere il più a lungo possibile la sua importanza sul territorio.
Un esempio di questa rivalità: nel 1428, i pordenonesi si lamentavano con il duca d’Austria che i cordenonesi non contribuissero alla fortificazione delle mura; tale opera doveva essere finanziata da tutti i possessori di case all’interno della città, case che per la maggior parte erano di proprietà proprio di cordenonesi, i quali usarono come scusa il fatto che, pur essendo maggiori proprietari, non risiedevano a Pordenone e quindi l’opera non aveva lo scopo di salvaguardare la loro vita. Ma Pordenone non si arrese e vent’anni dopo, tramite una delibera del consiglio comunale, la comunità stabilì che i cordenonesi dovessero venire ad abitare nelle loro case in città, in alternativa avrebbero dovuto venderle poiché disabitate.
Verso la fine del 1400 e del medioevo, Cordenons, nonostante l’evidente supremazia del Porto, non voleva ancora arrendersi. Nuovamente si riaccesero forti tensioni, motivate dal fatto che Pordenone non aveva rispettato alcuni diritti legislativi di Cordenons: non potendo contendere sul piano dell’autorità, i cordenonesi ricorsero all’ultima carta che avevano da giocare nel loro mazzo, in grado di sostenerli davanti all’Imperatore; fecero appello al loro prestigioso passato e ai privilegi che avevano fino a quel momento goduto. Massimiliano d’Austria quindi rispose a favore di Cordenons, ribadendo e riconfermando i diritti della città.
E Pordenone, nuovamente, non stette a guardare: verso la fine del 1497, con un pretesto, il capitano pordenonese Tommaso di Colloredo, probabilmente abusando del suo potere, attuò un intervento militare a Cordenons con l’intento manifesto di porre freno a quelle che gli erano parse baldanzose esigenze dei suoi abitanti. Con un esercito di 1500 soldati, prese d’assalto il villaggio e diede fuoco alle case, mettendone in fuga gli abitanti.
Con la fine del XV e l’inizio del XVI secolo e con l’arrivo della dominazione veneta, la situazione si appiattì: i tempi di rivalità cittadine infatti volgevano al termine in maniera costante e uniforme: con la Repubblica di Venezia cominciava a nascere un’idea ben più seducente, quella dell’ampia nazione. Cordenons ormai non aveva più la casa d’Austria che garantiva i diritti alla comunità: persi i privilegi e definitivamente messa in ombra dalla vicina Pordenone, il borgo smise di avere qualunque influenza sul territorio.
Pordenonese doc, classe 1992. Dottore di ricerca in Scienze storiche tra l’Università di Padova, Ca’Foscari di Venezia e Verona, mi piace pensarmi come spettatore di eventi che in un futuro lontano saranno considerati storia. Far conoscere al meglio e a quanti più possibile il nostro passato, locale e non, è uno dei miei obiettivi e come tale scrivo con passione per le mie amate Radici.