La Livenza scorre tranquilla, la brezza culla i rami dei salici piangenti.
Un tavolo. Un caffè. Davanti a me gli occhi profondi di Paolo Cossi. Due piccoli laghi blu talmente limpidi che ci si può specchiare dentro.
Voce magnetica di un cantastorie. Lo vedrete uscire dal computer mentre leggerete le sue parole.
Paolo Cossi, nato a Pordenone nel 1980 è tra i maggiori fumettisti italiani. Conosciuto a livello internazionale, i suoi libri hanno ricevuto premi importanti.
Tra le sue opere, “Corona. L’uomo del bosco di Erto”, “Medz Yeghern, il grande male” e “Unabomber”.

 

Cossi, com’è nata la passione per il fumetto?

La passione nasce semplicemente dal fatto che, quando ero piccolo, ero sempre ammalato. Ero a letto un giorno si e un giorno anche. A casa dei miei genitori non c’era la televisione, sicché mio padre mi dava dei fumetti per passare il tempo. Asterix e Jacovitti sono stati i primi libri che ho letto.
Poi mi dava gli scontrini della spesa. Io li giravo dall’altra parte e ci disegnavo sopra. Ho iniziato a copiare i fumetti che leggevo, poi a inventare personaggi miei, da lì a inventare storie e così è nata la cosa.

 

Fumetto preferito?

Non ho un fumetto prediletto perché le vere passioni cambiano. In questo momento mi sta appassionando molto Manuele Fior, ma non perché ci si conosca (ed è una persona bellissima), ma i romanzi grafici che scrive sono di uno spessore dal punto di vista emozionale talmente grande che mi coinvolgono davvero molto.
I fumetti in generale che mi coinvolgono di più sono quelli che adesso chiamano i social comics o fumetti sociali. Sono quelli dove si va a far leva sulle emozioni del lettore parlando di disagi sociali, temi di ecologia ecc.  Manuele Fior secondo me è bravissimo nell’utilizzare le dinamiche umane per raccontare storie e questo mi appassiona molto.

 

Andando attraverso i primi libri, com’è nato il desiderio di scrivere un fumetto su Corona? E quanto ha significato questo incontro per te?

E’ stata una croce quel libro!

Ma partiamo dall’inizio. Abitando in Friuli con Corona ci venivi a contatto, perché comunque Corona era sempre dappertutto. Quando l’ho visto, con i suoi atteggiamenti, con il suo vestiario, ho visto subito il personaggio a fumetti.
Inoltre lui aveva un altro elemento che a me sta molto a cuore che era il discorso del legame con la natura. Lui ovviamente a modo suo perché era nato a Erto quindi aveva tutta una serie di aspetti che io non conoscevo; io a modo mio, con gli aspetti che a me piacevano di più, che erano quelli idilliaci: la Natura, il bosco ecc. Ecco, con Mauro è stato un incontro fortunato nel senso che poi lui mi ha adottato come dice lui “figlio d’anima”. Mi ha trovato lui la prima casa in Valcellina, lui mi dava la legna d’inverno, mi ha trattato come un figlio.
Lavorare con lui è stato molto bello perché non è che ci trovavamo per lavorare, ma ci trovavamo per vivere. Questo vivere poi si trasformava in un fumetto. Da questo punto di vista è stata un’esperienza veramente molto bella.

 

Riferendosi al primo fumetto, “Corona. L’uomo del bosco di Erto”. C’è una scena in cui tu e Corona camminate sotto la pioggia nel bosco alla ricerca di un folletto intrappolato. E’ successo veramente?

Purtroppo si! Di quel fumetto le cose che sembrano più strane sono vere, quelle che sembrano più normali son false. Nel senso che con Mauro ne abbiamo combinate di tutti i colori. Ma non solo con Mauro, anche con i suoi amici. La Valcellina per me è stato un modo di cambiare radicalmente la mia vita.

 

Hai affrontato spesso il tema del terrorismo, (Unabomber, Storia di Mara) scriverai anche dell’ISIS o qualcosa che concerne?

Al momento no. Nel senso che in questo momento ho spostato la mia attenzione su altre cose. Ho dedicato troppo tempo a una serie di temi che rischiano di mangiarmi. Non voglio più scrivere su queste cose, al momento. Per lo meno mi devo prendere un periodo di purificazione.

Questo qui sarebbe più un discorso legato all’attualità e ci sono degli autori molto più preparati di me che potrebbero fare un ottimo lavoro. Veramente un ottimo lavoro. Io non ne ho le capacità perché non sono un giornalista. Io ho trattato temi storici, però i temi storici presuppongono il fatto che siamo in un post. Ho fatto anche biografie a fumetti (Biografia di Hugo Pratt ndr), però il giornalismo a fumetti non è nelle mie corde.

 

Tra tutti i fumetti che hai scritto, che hai i prodotto, qual è il tuo preferito, quello che consideri il tuo meglio riuscito?

Allora, [ride] il mio fumetto migliore non lo conosce nessuno e si chiama “L’uomo più vecchio del mondo” (2013, Hazard Edizioni). Ci ho messo 7 anni a farlo ed è il fumetto più corto che io abbia mai scritto. È una storia a cui tengo particolarmente perché si sono fuse tutte le mie esperienze che ho fatto in montagna.

Infatti la storia, è una storia ambientata in montagna tra un vecchio e un bambino ed è una storia sulle bugie. Le bugie non han tutte la stessa faccia, ci sono delle bugie che vengono chiamate anche menzogne e sono quelle storie che vengono raccontate per coprire delle verità scomode, per mettere in difficoltà altre persone.
Poi  invece ci sono delle bugie a fin di bene che sono in realtà delle storie raccontate per far sognare o per proteggere. E io, mettendo in scena questi due personaggi che sono un vecchio e un bambino che sono io da piccolo e io da vecchio, incontro me stesso in due periodi diversi della mia vita e in montagna che è il mio territorio mi metto a confronto con le bugie che arrivano dall’esterno e le bugie che dall’interno devi dire per proteggerti.

Questa storia è molto particolare perché ha uno stile che non è quello che uso di solito, ha una sceneggiatura che non è quella che uso di solito, però la cosa veramente particolare è che il 99 % delle storie che sono li dentro, sebbene sembrino crudeli, sono comunque tutte vere. Tutte storie che io o ho vissuto o comunque ho sfiorato perché sono successe ad alcuni amici.
Con quel libro avrei potuto anche chiudere e dedicarmi ad altro.

 

Fumetti nel cassetto. Temi di cui ti piacerebbe parlare, ma magari sono un po’ nascosti, aspettando il momento giusto.

Ora in generale vorrei alleggerirmi un po’ e togliermi dalla cronaca storica, come ho detto prima. Voglio ritornare in un mondo fantastico. Per questo sto lavorando molto su storie che hanno a che fare con l’esoterismo, con la stregoneria.

Gatto&strega (vignette di una facciata che escono sulla sua pagina face book ndr) è forse l’aspetto più comico. Tra un po’ uscirà Cloe, la fata dell’assenzio. Però sto affrontando un po’ il punto delle cose che mi permettano di uscire da questa realtà. Io ho iniziato a far fumetti per fuggire da una realtà e questa invece mi ha ritrascinato dentro. Mi ha permesso di fare delle cose molto importanti perché per esempio il libro “Metz Yeghern, il grande male” sul genocidio degli armeni ha vinto il premio della democrazia del parlamento francese ma adesso sento che è arrivato il momento che ho finito “questa mia opera” e voglio tornare a dedicarmi alla fantasia che probabilmente è la più grande ricchezza che abbiamo.

 

Parlando di disegnare  nel senso del gesto. Tu disegni molto dal vivo con Erica Boschiero ma non solo. E’ diverso trovarsi davanti a un pubblico o a casa e quale dei due preferisci?

È certamente molto diverso. Nel senso che a casa hai il controllato.
Tu controlli quelli che sono i tuoi segni. Fai prima un segno a matita, poi lo inchiostri, decidi i colori, ti metti la musichina che vuoi, insomma, hai tutto il tempo per farlo. Ma perché?
Perché quell’opera che stai facendo è un’opera che resterà poi negli anni e deve arrivare ad un pubblico vasto.
Invece quando disegni durante un concerto, non è il disegno che conta, ma l’emozione che trasmetti. L’emozione sta nella velocità del segno, sta nel colore in quel preciso momento con quella musica li. Se si vedono i disegni dopo il concerto non danno la stessa emozione, perché l’emozione è vederli nascere e concludersi li con quelle note particolari.

Entrambe le cose mi danno grande soddisfazione, ma entrambe le cose hanno il loro motivo di vita in quel luogo lì: i primi nel mio studio e gli altri in un teatro e per forza assieme alla gente. Solo così vibrano di vita.

 

Il tuo stile quanto è cambiato da quando hai disegnato il primo libro?

Ma sai, lo stile io credo che – qua tanti avrebbero da ridire – dovrebbe sempre cambiare e modificarsi. Io mi accorgo che comunque quello che disegnavo quando avevo vent’anni non riuscirei a disegnarlo adesso. Sarebbe uno scimmiottare che non porta da nessuna parte. Percepisco una crescita non tanto nel segno, ma dal punto di vista di armonia con gli strumenti e da questo lato questi anni sono stati veramente molto molto importanti.

 

Un artista con cui hai collaborato (o collabori) che ricordi con piacere.

Io ho lavorato con tante persone. Posso dire che sicuramente con Massimiliano Frezzato – abbiamo realizzato “Il gatto stregato” –  è stato un onore lavorare perché ritengo sia il disegnatore italiano vivente più bravo che c’è in circolazione dal punto di vista tecnico.
Poi mi è piaciuto per un episodio: per la realizzazione gli ho lasciato piena libertà, ma gli ho chiesto due cose: che il personaggio femminile fosse moro con i capelli mossi e il personaggio maschile fosse biondo con i capelli lunghi. Tutto il resto era a sua scelta.
Di tutta risposta lui mi ha fatto la protagonista bionda con i capelli lunghi e lui moro coi capelli corti e li l’ho adorato perché se c’è la libertà, c’è la libertà e Max è davvero una persona libera.

 

Qualche anticipazione di “Cloe, la fata dell’assenzio” il nuovo fumetto?

Eh, Cloe è peperina! Cloe è quello che sarei stato io se fossi nato donna.
Non è un personaggio facile. Lei è affascinata dagli esseri umani. Non li capisce, perché appartiene ad un altro mondo, infatti è una fata. Cerca di intuire.
Lei compare quando la gente beve assenzio. E quando beve assenzio ha voglia di parlare. Le persone parlano e riversano tutta la loro vita a lei. Molto spesso non le chiedono neanche come si chiama. Cloe non si lamenta. “Di me non sanno nulla. Non sanno come mi chiamo, da dove vengo. Non gliene frega neanche niente. Però sono tutti intenti a raccontarmi delle loro vite.”
Quindi lei a suon di sentire le vite delle persone si è fatta un’idea un po’ vaga degli esseri umani, che forse non è quella che abbiamo noi. È la visione di una fata.
Solo che lei, siccome è immortale, sono centinaia d’anni che vede le storie ripetersi. Quindi lei vede veramente gli uomini in un teatrino. Sono degli spettacoli di cui conosce benissimo la trama. Tragedie, commedie, lei le sa tutte. Questo però non le impedisce di restare ogni volta entusiasta nel vederle.
Poi le fate non sono personaggi perfetti. Quindi anche lei si arrabbia. Tuttavia quando sta male non lo fa mai vedere a nessuno. Gli unici due momenti in cui si apre un pochino sono uno con il suo gatto e l’altro con Tolouse-Lautrec. Con Tolouse-Lautrec ha un feeling molto particolare e gli parla. Però si scusa subito perché lei si è imposta di non lamentarsi mai con nessuno. La gente quando sta con lei deve star bene.
Questa è Cloe, la fata verde, speriamo di vederla presto stampata.

E questo è Paolo Cossi, il folletto del fumetto.
Contatti: facebook “Paolo Cossi”
sito personale cossipaolo.blogspot.it/

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