In questi giorni è in corso la 32° edizione del Torino Film Festival. Nel suo articolato programma spazio, per il secondo anno, alla retrospettiva sulla New Hollywood.

La New Hollywood rappresenta l’ultimo momento di gloria, soprattutto artistica, del cinema americano degli ultimi cinquantanni. Un cinema che nasceva dalle contestazioni sociali a cavallo tra gli anni ’60 e ’70, in cui finalmente realtà diverse tra loro, come gli studenti e i lavoratori, riuscirono a convivere seguendo lo stesso ideale di libertà. Sdoganamento del sesso, riconoscimento sociale dei loser, rivendicazioni razziali, disprezzo verso la guerra, tutte tematiche alla base delle pellicole che esploderanno in quegli anni. Alcuni protagonisti: Artur Penn, Mike Nichols, Steven Spielberg, Alan J.Pakula, Bob Raffelson e i loro film, cantori delle derive paranoiche e dell’autodeterminazione. Rivedere oggi i prodotti di quel periodo non fa altro che aumentare la sensazione che il Cinema serva ancora a qualcosa. E’ un’arte che racconta i tempi, gli uomini, e le crisi, non dà delle risposte ma aiuta a farsi domande e a opporsi ai soprusi. Oggi, come non mai, queste pellicole ci servono, da loro possiamo ancora imparare? Un esempio è Il laureato di Nichols, regista deceduto proprio negli scorsi giorni: spaesamento di un giovane, alla ricerca del suo posto nel mondo, senza aiuti e stimoli dagli adulti che lo circondano che, invece, cercano di plasmarlo e circuirlo a suo piacimento. Il cinema americano oggi però riesce solo in parte a riproporre tutto ciò, ne è portabandiera il genere indie che ormai verrà fagocitato sempre di più dalle major. E’ molto più facile far divertire invece di far pensare lo spettatore, ed il Dio denaro è sempre vivo. Infatti, anche la New Hollywood, come tutte le cose belle, finì, e terminò il suo grido d’allarme con l’arrivo di Lo squalo di Spielberg, il primo blockbuster della Storia… Capito?

 

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