È domenica 9 ottobre, giorno di pausa dal lavoro. Dal caffè Το Μπαλκόνι di Chora osservo il porto di Skala, dove il mare si insinua fino a bagnare la costa sottile punteggiata di case bianche. Sono arrivata a Patmos mercoledì notte: l’isola è priva di aeroporto, motivo per cui dopo essere atterrata a Kos, patria del medico Ippocrate, ho preso il traghetto e, lasciate alle spalle Pserimo, Calimno, Lero e Lipsi, sono scesa sul molo di Skala.

Patmos, non lontana dalle coste turche, è l’isola del Dodecaneso con la forma più strana: ricorda un cavalluccio marino che guarda incuriosito in direzione della turca Didim, antica Dydyma, città di origine ionica, importante stazione oracolare in periodo ellenistico, punto di riferimento per i seguaci del culto di Apollo. Una città sacra. Patmos invece è l’isola sacra: così ha deciso il Parlamento Greco nel 1983 e, nel 2006, l’UNESCO ha dichiarato Patrimonio dell’Umanità il Monastero ortodosso di San Giovanni Teologo (fondato nel 1088 dal Beato Christodoulos), la Grotta dell’Apocalisse (dove secondo la tradizione l’Apostolo Giovanni avrebbe scritto il Libro della Rivelazione) e il paese di Chora.

Mi trovo qui con il mio gruppo di ricerca viennese per lavorare al Monastero o, meglio, alla biblioteca del Monastero. L’obiettivo è quello di descrivere alcuni libri di preghiera bizantini manoscritti di cui i cataloghi non danno sufficienti informazioni. La biblioteca è nascosta nelle viscere del monastero-fortezza, come a volerne meglio preservare i tesori: colpiscono gli scaffali di legno scuro dove i libri antichi sono perfettamente ordinati tematicamente, il rosso acceso dei tappeti, la luce calda delle lampade, i tavoli da lavoro attrezzati di tutto punto.

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Una mattina sono riuscita a ritagliarmi del tempo per visitare il museo: fra i pezzi più significativi figurano il codice purpureo (pergamena tinta di porpora e inchiostro d’oro di VI secolo), un codice contenente le Omelie di Gregorio di Nazianzo e realizzato a Reggio Calabria nel 941 (il più antico manoscritto datato proveniente dal Sud Italia), la bolla imperiale che attesta la fondazione del Monastero con la firma autografa dell’imperatore Alessio I Comneno. Il museo si può visitare virtualmente qui.

Se si pensa di incontrare un monaco nel chiostro del monastero, mentre si percorrono quei pochi passi che dalla biblioteca conducono al portone d’ingresso, si rimane delusi: i monaci non si vedono spesso, anzi, non si vedono quasi mai. Trascorrono una vita molto diversa da quelli sinaitici: seguono un tipo di monachesimo detto idiorritmico, secondo il quale ciascuno di loro conduce una vita indipendente e privata. Neppure i pasti si svolgono in comune.

Abituata al Sinai, stupisce inoltre che il bibliotecario non sia un monaco, bensì un laico: il dottor Melianos. L’ho incontrato proprio stamattina, anche se è domenica e la biblioteca è chiusa. Dopo aver assistito alla liturgia ortodossa nella Grotta dell’Apocalisse, mentre percorrevo a piedi il sentiero che porta a Chora e al Monastero, si è fermato a salutare un signore in motocicletta (mezzo di trasporto quasi obbligato nell’isola), tutto vestito di nero, che lì per lì non ho riconosciuto: ma era proprio lui, il bibliotecario! Le trasformazioni del fine settimana.

Ora siedo sorseggiando un φραπές e osservo dall’alto la meraviglia che mi circonda: a nord Samo, Lipsi a oriente, Lero più a sud. Il fischio sordo di un traghetto cha annuncia il suo arrivo in porto, avido di sottrarre all’isola gli ultimi turisti rimasti, interrompe la mia contemplazione. Anche se ci sono ancora 28 gradi la stagione è finita, il mare presto sarà burrascoso e tutti gli isolani, bibliotecario compreso, si preparano a tornare ad Atene a passare l’inverno, aspettando la nuova primavera. Per fortuna per me ci sono ancora tre giorni prima della partenza: ancora tre giorni a descrivere manoscritti prima di separarci augurandoci καλό χειμώνα, buon inverno.

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