Delle vicende storiche di Pordenone, specialmente dell’era contemporanea, si sono dette molte cose: si è avuto modo di parlare della Grande Guerra, in occasione dell’edizione 2015 di Pordenonelegge, e del Risorgimento, eventi molto trattati nei libri di storia cittadina. Ci si è anche fermati a contemplare la battaglia di piazzetta Cavour, avvenuta durante il periodo napoleonico, e si è fatto la conoscenza di Bartolomeo d’Alviano, signore della città nei primi del 1500. Ora immaginiamo di utilizzare una nostra personale macchina del tempo e mettiamo indietro gli orologi fino ad arrivare in un’epoca oscura, difficile da immaginare, sempre più lontana dalla nostra quotidianità.

Siamo tra il 1100 e il 1150 in piena pianura friulana. Tutto attorno a noi non vediamo altro che alberi e cespugli. Non è un bosco facile da percorrere: è pieno di arbusti e la vegetazione è così densa che non si spazia molto con la vista. Al di là del cinguettio degli uccelli c’è un gran silenzio, un silenzio che ai giorni nostri troviamo solo in montagna. Sembra un paesaggio primitivo, a tratti preistorico, se non fosse per un sentiero battuto che taglia a metà il bosco.

E’ un’epoca questa in cui girare da soli nelle campagne e nelle foreste d’Europa non era il massimo della sicurezza. Al di là della fauna locale, bisognava stare molto attenti a non incappare nelle bande di banditi, sempre alla ricerca di un ricco bottino. Come i lupi agiscono in branco, così un gruppo di malviventi poteva coglierci di sorpresa in ogni momento, derubarci di tutto e ucciderci; nel migliore dei casi ci avrebbero lasciati nudi e agonizzanti in mezzo alla strada.

Per nostra fortuna di lì passa una carovana: il rischio di essere rapinati è minore se si è in gruppo, ma è pur sempre presente. Ci aggreghiamo. La lingua di comunicazione dell’epoca non è l’italiano standard e neppure quello arcaico (Dante nascerà tra più di 100 anni) ma un miscuglio di latino con varianti regionali locali: il friulano si sta pian piano sviluppando.  Dobbiamo quindi adeguarci. Il nostro volgare è ovviamente pessimo ma riusciamo lo stesso a capirci e a far loro alcune domande: chi sono? E dove stanno andando?

Ci rispondono con uno strano accento che ci ricorda il modo di parlare dei tedeschi: sono mercanti provenienti dalla Stiria, una regione a Sud-Est dell’Austria. Stanno scendendo verso la piccola Venezia per conto di alcuni nobili per poter vendere alcune manifatture provenienti dal Nord Europa e per comprare qualche prodotto tipico dell’Oriente da poter rivendere a prezzo maggiorato una volta tornati a casa. Stiamo vivendo uno dei segnali di ripresa successivi all’anno 1000: il ritorno dei commerci su lunghe distanze.

Stando con loro apprendiamo che in mezza giornata di marcia avremmo fatto scalo in un villaggio circondato da paludi e acquitrini, luogo di nascita di un ruscello: Curtis Naonis, la futura Cordenons. Una volta arrivati ci spiegano che questo piccolo insieme di capanne di roccia e legna circondato da una cinta di mura che abbiamo sotto gli occhi è di proprietà dei conti di Stiria, gli stessi che li hanno inviati a Venezia: un punto commerciale strategico, dove stazionavano merci da e per l’Europa, non assoggettato al Patriarcato di Aquileia.

Ci accampiamo per la notte. All’alba salutiamo la carovana e da soli, con sprezzo del pericolo, scendiamo verso Sud partendo dalle risorgive e seguendo lo scorrere dell’acqua. Ci imbattiamo presto in un altro piccolo villaggio, collocato in cima a una piccola collinetta che dà sulla riva di un ruscello non molto profondo: è Torre, o almeno la futura Torre, il cui castello verrà costruito entro un secolo. All’epoca probabilmente si ignorava il passato romano: guardandoci intorno, infatti, non vediamo altro che bosco e acqua.

Mancando sentieri, dobbiamo procedere con cautela seguendo l’argine. Nel proseguire, notiamo pian piano che il ruscello diventa un fiume sempre più ampio, profondo e navigabile. D’un tratto compare davanti a noi qualcosa di certamente curioso: su una nave di medie dimensioni ormeggiata in un moletto in legno a ridosso di una collinetta, osserviamo degli operai che scaricano del materiale. Corde, tronchi di legno, pietre, teli, merci… persino animali, tra cui degli asini, qualche cavallo e pecora.

Ci avviciniamo finché la visuale non si fa di colpo più ampia: sulla cima di questa collinetta un nutrito gruppo di uomini sta costruendo delle case e dei rifugi. Chiediamo a un pescatore seduto sulla banchina perché stessero fondando un altro villaggio se poco più a Nord ce n’erano ben due: divertito ci risponde che questo non era un villaggio ma un semplice scalo commerciale fluviale, un porto dove le navi provenienti dal mare potevano ormeggiare e sbarcare le merci. E’ una nuova via, quella del fiume, riscoperta di recente, in grado di collegare facilmente e velocemente le montagne al mare.

Ci informa che i mercanti tedeschi di passaggio in queste zone gli avevano già dato un nome, Portenau o Portenowe, che tradotto significa Portonuovo. Dalla sua espressione capiamo che il nome non gli piace molto. Il motivo è presto detto: non gli va molto a genio che il porto venga chiamato così in virtù della sua recente costruzione, quasi si tendesse a banalizzarlo tra tanti. Essendo situato sul fiume che dà da mangiare a lui e alla sua famiglia, il Naone o Naunzel, egli ci rivela il vero nome dello scalo: Portus Naonis.

Di certo il pescatore non poteva sapere e non si sarebbe mai immaginato che quelle quattro capanne costruite così a caso in futuro sarebbero state alla base di una città. Stiamo così assistendo all’inizio di una piccola grande storia, la nostra, quella di Pordenone.

Lascia un commento