L’edizione 2016 de Le voci dell’inchiesta è partita col botto: nel giorno di apertura del festival dedicato al cinema d’inchiesta, ha avuto luogo la prima proiezione in assoluto in Italia di “Requiem for the american Dream“, docufilm sull’aumento della disuguaglianza sociale ed economica  e sulla crisi ( economica, ma anche democratica) negli Stati Uniti.  Curato da Peter Hutchison, Kelly Nyks e Jared P. Bush, esso esce proprio nell’anno delle elezioni presidenziali, che per quanto visto fino adesso nelle primarie si preannunciano fra le più tese e “avvincenti” degli ultimi anni; sullo sfondo, però, di un paese che sembra avvitato su se stesso, che nonostante i dati relativamente positivi degli ultimi anni non si è ancora ripreso dal crollo di Wall Street del 2008, con l’evidente predominio del sistema finanziario sull’economia reale, il divario tra le fasce più ricche e quelle più povere della popolazione che continua ad aumentare vertiginosamente e in contemporanea sparisce progressivamente la classe media , e con i cittadini smarriti e sfiduciati da una politica in mano alle lobby e alle grosse corporation. Tutto questo è raccontato, nel film,  da un narratore autorevolissimo quale Noam Chomsky, sociologo politologo e pure linguista, noto per essere stato negli anni ’70 uno dei leader  del movimento pacifista, e successivamente uno degli ideologhi indiretti del movimento No Global. “Sono nato e cresciuto in una famiglia povera”, racconta all’inizio quello che viene definito come L’intellettuale più influente al mondo,” i poveri all’epoca stavano molto peggio di come stanno oggi, ma noi avevamo la speranza di poter rendere migliore la nostra vita, avevamo la forza di lottare per il nostro futuro; Oggi non è più così.”

L’American Dream, il sogno di poter migliorare la propria situazione sociale, di diventare ricchi e star bene, in un paese che fosse davvero una grande democrazia, è crollato. In passato, durante i cosiddetti Golden Years, i ricchi pagavano imposte molto più alte degli altri; un operaio prendeva uno stipendio sufficiente per poter sfamare e far studiare i propri figli; c’è stata la lunga stagione delle lotte per i diritti, dalle lotte sindacali degli anni ’30, e poi quelle per i diritti delle minoranze e delle donne nel dopoguerra, fino all’apice raggiunto negli anni ’60; il governo aveva molti poteri, ma sapevamo come influenzarlo.” Poi, spiega Chomsky, c’è stata la reazione dei masters of the mankind come spesso gli chiama lui: “uno dei motivi per cui ai più ricchi non piace il fatto che la ricchezza sia meglio distribuita, è che essi perderebbero potere: nel momento in cui le masse migliorano la loro condizione economica, aumentano anche la loro influenza politica e la loro indipendenza dai più agiati. Tutto questo andava fermato.”  L’inizio della “riscossa reazionaria” si ha negli anni ’70, con la pubblicazione del Memorandum Powell nel 1971, dove il giudice Lewis Powell, su richiesta della Chamber of Commerce, il punto di riferimento del capitalismo americano all’epoca, esortava i gruppi aziendali statunitensi di diventare più aggressivi nel plasmare i programmi politici e la legge negli Usa, e a mettere in atto una “sorveglianza costante” dei libri di testo e dei contenuti televisivi, così come ad epurare politicamente gli elementi vicini a idee di sinistra. Un altro atto avviene nel 1975, con la pubblicazione di “The Crisis of Democracy“, ovvero il manifesto della Commissione Trilaterale, ancora oggi punto di incontro tra mondo industriale e bancario e politici di primo piano in occidente, dove si legge che “troppa partecipazione popolare nuoce alla democrazia” e che uno degli ostacoli era rappresentato “dalla ricerca di uguaglianza sociale”, mentre sarebbe necessaria una massa apatica, poco interessata a difendere i propri interessi e con il governo che ignora tutte le richieste provenienti dal popolo. “Da qui” continua Chomsky, ” è iniziata l’ascesa del turbocapitalismo finanziario, e della società basata sul consumismo e sugli istinti odiosi, come gli chiamava Adam Smith già nel 1776, fra cui “pensa solo a te stesso”; basti pensare che il culto della visibilità massmediatica ha distrutto il concetto di eguaglianza, che l’apatia partecipativa nella polis è ai massimi livelli, così come nelle fabbriche o nella cultura, e che le istanze dei cittadini vengono costantemente ignorate o prese in considerazione solo parzialmente, per vedere che quanto si auguravano Huntington, Crozier e Watanuki in “la crisi della democrazia” è ormai realtà”

L’illustre sociologo spiega poi i dieci passaggi per arrivare alla situazione di oggi, fra i quali: Ridurre la democrazia, “non in maniera palese, meglio se un pezzetto alla volta”; riorganizzare l’economia basandosi su due principi, la precarizzazione dei lavoratori e la finanziarizzazione del sistema economico; confondere i compiti, ovvero il “socialismo al limone”, dove il governo viene attaccato e definito il problema, ma poi viene anche costretto ad assumersi l’onere di salvare i grandi istituti bancari too big too fall senza distinguere tra chi ha aiutato l’economia reale e chi ha soltanto speculato in borsa, mentre poi quando in difficoltà si trovano i cittadini esso non interviene costringendoli ad arrangiarsi, spesso indebitandosi proprio con le banche; attaccare la solidarietà per annullare la concezione di bene comune, importantissimo passaggio per poter poi privatizzare anche beni essenziali (“per privatizzare la tattica standard è questa: Tagli i fondi, ti assicuri che le cose non funzionino, la gente si arrabbia e a quel punto consegni ai privati per pochi soldi“); Controllare le elezioni; Creare il consenso intorno al governo, usando tecniche tipiche della pubblicità; Gestire i legislatori, lasciando potere e spazio d’azione ai lobbisti; Marginalizzare il popolo.

L’intervista si conclude con un invito di Chomsky a ribellarsi pacificamente, unendosi contro il potere: “sinceramente non mi sento di dire precisamente ciò che bisogna fare, perché non è detto che un azione buona nella teoria nella pratica funzioni, e perché non  sufficiente una singola cosa per ribaltare la situazione; altre volte nella storia si è cambiata la storia dal basso, non è impossibile, bisogna però unirsi, studiare e agire: solo un popolo disposto a lottare unito per i suoi interessi, può cambiare le cose

 

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