Nel suo taccuino rilegato, un viaggiatore rinascimentale scrisse: “Pordenon è bellissimo, pieno di caxe, con una strada molto longa, si intra per una porta e si ensse per l’altra, va in longo”. Così Marin Sanudo si espresse poco dopo aver lasciato la città nel 1483, affascinato dal centro urbano pordenonese. Come in passato, anche oggi mentre si passeggia per il centro con lo sguardo rivolto all’insù, si rimane estasiati da queste opere d’arte a cielo aperto: sono gli affreschi e le loro sfumature cromatiche, le scene mitologiche e allegoriche, gli stemmi austriaci e quelli delle famiglie nobili più importanti della città che da secoli aspettano solo di essere scoperti.

Dopo l’incendio del 1318 che distrusse tutto il nucleo urbano, senza che l’assetto urbanistico-architettonico preesistente venisse alterato drasticamente, la città si avviò all’uso della pietra per la costruzione degli edifici. La strada principale, dove iniziarono ad abitare le famiglie più ricche della città, cominciò a riempirsi di case con il tetto in coppi e le facciate affrescate diventarono lo status symbol di una condizione economica particolarmente agiata. Questa nuova usanza ornamentale dei prospetti aveva origini veneziane, a loro volta influenzate dalle consuetudini bizantine. L’uso del colore e del decoro s’era affermato in area veneta con la transizione dal romanico al gotico nel corso del Quattrocento e, anche negli edifici pordenonesi, si diffusero nuovi stilemi improntati al gusto dei maestri lombardi.

Non è facile risalire alla storia di questi affreschi.  Le notizie riguardanti gli edifici sono molto lacunose a causa di frammentazioni, passaggi di proprietà e modifiche strutturali dei fabbricati stessi, e non permettono di individuare una maestranza in modo univoco e preciso. Le opere murali del corso di Pordenone sono infatti il risultato di diversi secoli di interventi decorativi segnati anche dal passaggio da una dominazione all’altra.

Lasciando piazzetta Cavour e inoltrandosi nella prima parte della via cittadina dedicata al grande “liberatore della patria”, sulla destra, è possibile osservare un palazzo di origini trecentesche, casa Simoni. Nella sua facciata è ben visibile lo stemma civico tra due finestre gotiche e le semplici decorazioni a finti mattoni, una tecnica che si diffuse nelle diverse parti d’Europa e appartiene alla più antica tipologia degli affreschi parietali. Nel sottogronda invece compaiono due fasce a motivi floreali e frutta.

Avanzando un poco e volgendo lo sguardo a sinistra, compaiono i resti di un prospetto completamente decorato secondo un miscuglio eterogeneo di colori e forme geometriche. L’edificio, anch’esso trecentesco, si compone di due fabbriche risalenti al primo Quattrocento, ciascuna con un arco di sottoportico a tutto sesto accompagnato da una decorazione nella sommità e in corrispondenza delle finestre. Compare anche uno dei tanti stemmi dai colori bianco e rosso della casata asburgica che sin dal Medioevo aveva gelosamente stretto a sé Pordenone, vincendo le mire di dominio sulla città avanzate da nord e da sud.

Nella sommità del corpo centrale della facciata di Palazzo Popaite – Della Torre – Policreti compaiono gli stemmi delle famiglie che la abitarono. La prima delle due unità che compongono il palazzo è risalente al 1300 e venne affrescata a finti mattoni e stemmi mentre le finestre preesistenti, sostituite in età postuma, sono contornate da motivi policromi di vegetali stilizzati. Nella seconda parte si vedono dipinte le lune crescenti dei Popaite, alla quale il duca Alberto d’Austria concesse l’inserimento nel rango della nobiltà pordenonese a metà Quattrocento, e la torretta dei Della Torre, famiglia di provenienza udinese. Successivamente, nel 1560, quando Pordenone era sotto il dominio della Repubblica di Venezia da ormai cinquant’anni, l’edificio passò alla famiglia Policreti.

Per concludere, è necessario dedicare alcune parole a una delle case pictae per eccellenza: il palazzo De Rubeis. Originariamente l’impianto dell’edificio era tardoromanico e nell’età medievale venne sormontato da una sopraelevazione in stile gotico. La facciata è completamente ricoperta da una tappezzeria a motivi geometrici, tetraedri ed esaedri policromi, interrotta solo da un ignoto stemma barocco. Ciò che sorprende, oltre ai colori sgargianti verde rosso e ocra, è la presenza di numerose finestrelle ispirate a diversi stili architettonici e la raffigurazione di effigi umane e animali fantastici tratti dai bestiari medievali.

Per dare ragione ai viaggiatori che rimanevano estasiati da cotanta ornamentazione, così come il nostro Sanudo, basterebbe citare Andrea Benedetti che scrisse: “L’usanza delle facciate dipinte [era] ricordata con ammirazione da chiunque transitava per Pordenone e dagli antichi diaristi. Dava alla via principale una nota di vivacità, di gaiezza e di festività”.

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