Sono giorni difficili, in cui l’umanità dell’intera Unione europea rischia di essere sgretolata dal gretto spauracchio del timore dello straniero, del diverso, di “quell’extra”, che poi tanto extra- non è.

Dimentichiamo chi siamo, condotti da questa paura, alziamo i muri, barriere culturali ancor prima di veri e propri mattoni fatti d’odio e di calcestruzzo.
Non fingiamo più l’accoglienza, ma esiliamo. L’anima, anzitutto.
Portiamo fuori (extra, appunto) le ultime gocce di umanità, non perdoniamo, non ricordiamo più la nostra storia.

In questa mia rubrica cerco di riportare alla luce alcuni brandelli del Poeta, certo;
non ho la presunzione di insegnare nulla, anzi. Spero soltanto che trasmettendo e attualizzando (azione che in realtà non servirebbe) i suoi scritti, venga alla luce soprattutto un aspetto: il futuro che non avremmo mai voluto ma che ci vediamo costretti a vivere.

Come non citare “Profezia” in questo frangente, meglio conosciuta come “Alì dagli occhi azzurri”, poesia struggente, definita delirante per l’epoca, ma che lascia un brivido a chi la rilegge.
Personalmente quel brivido l’ho avuto quando ho letto due cose: la prima, al solito, la data. Questa poesia ha visto la luce cinquant’anni fa, nel 1965.
Cinquanta. Anni. Fa.
Il secondo punto proviene certamente dalla citazione della stessa, come segue:

“Alì dagli Occhi Azzurri
uno dei tanti figli di figli,
scenderà da Algeri,
su navi a vela e a remi.
Saranno con lui migliaia di uomini
coi corpicini e gli occhi
di poveri cani dei padri
[…]
Sbarcheranno a Crotone o a Palmi,
a milioni, vestiti di stracci asiatici,
e di camicie americane.”

Io non credo servano altre parole. Io non sono in grado di spiegarvela, posso soltanto dire, ancora, che troppe, troppe volte abbiamo sottovalutato la potenza e la forza profetica del Poeta. Troppe volte l’abbiamo esiliato, lasciato solo, come fosse lui l’extraterrestre.
Non amava di certo il successo, Pasolini: “Il successo all’inizio appaga la vanità, non posso negarlo, ma il successo sarà la mia condanna”.

Vorrei riflettessimo ancora su quei versi e sugli sguardi di chi sta arrivando in Europa, spinto dalla fame, dalle guerre, da una morte certa, ma anche dalla speranza di trovare un Mondo e un Futuro migliore.
E allora perché questi muri? Perché questo odio? Perché questi silenzi?

Pensiamo a quanto dolore, a quanta sofferenza sono obbligati questi corpicini, questi sguardi, queste mani.
Pensiamo anche che noi possiamo salvarli con un gesto: aprendo le nostre braccia.

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