In realtà per tutti gli altri Paesi, quella che per noi è stata la Guerra del ’15-’18, ha avuto inizio già nel 1914. La tensione economica e politica tra le grandi potenze europee, Francia e Inghilterra da un lato, e Germania dall’altro, le mire espansionistiche tedesche, (la Germania non aveva tante colonie quante Francia e Inghilterra, anzi, non ne aveva quasi nessuna, in confronto), e il malcontento di buona parte dei Paesi balcanici nei confronti del dominio asburgico, che dava origine al fenomeno del nazionalismo, rendono il clima politico piuttosto instabile.

Il casus belli: il 28 giugno 1914 Gavrilo Prinzip, un nazionalista serbo (di diciannove anni; noi andiamo al Mokambo, lui andava a fare un po’ di tiro al bersaglio), spara all’erede al trono, l’arciduca Ferdinando, e a sua moglie Sofia, in visita a Sarajevo. In realtà il commando era costituito di altri cinque compatrioti, oltre a Prinzip, tutti guidati dalla Mano Nera, una società segreta.

Meno di un mese dopo ha inizio la guerra, che vede schierati da un lato Germania e Austria-Ungheria, e dall’altro la Triplice Intesa (Francia, Inghilterra e Russia), con al fianco Serbia e Montenegro. Accanto alla Triplice Intesa si schiera poi anche il Giappone, e, un anno dopo, l’Italia, che aveva rotto la precedente alleanza con Germania e Austria-Ungheria. Nel 1917 entrano in gioco, con il fronte più numeroso, anche gli Stati Uniti.

I trattari segreti: prima dell’inizio del conflitto, l’Italia era alleata con Germania e Austria – Ungheria mediante la Triplice Alleanza. Quando gli austriaci attaccarono i serbi l’Italia si mantenne neutrale, appellandosi al carattere difensivo del trattato. Giolitti, leader della maggioranza liberale,i socialisti e la Santa Sede erano per la neutralità. Eppure il governo Salandra, un liberale conservatore, spalleggiato da Vittorio Emanuele III, portò il Paese in guerra. Costui iniziò a negoziare territori con l’Austria-Ungheria, per ottenere Trento, Trieste e l’Albania. Ma l’Austria era irremovibile. Il Presidente del Consiglio si rivolse così agli alleati, e cominciò a trattare delle contropartite in cambio dell’intervento italiano: voleva Trento, il Tirolo meridionale, Trieste, tutta l’Istria e la Dalmazia. Questi negoziati venivano portati avanti contemporaneamente. L’Austria, spinta dalla Germania, promise Trento, e Trieste in Stato libero, ma solo alla fine del conflitto. Questo non era accettabile. Il 26 aprile Salandra si reca a Londra, e segretamente si impegna a entrare in guerra al fianco della Triplice Intesa, in netto contrasto con il Parlamento.

L’Italia dichiara guerra all’Impero Austro-Ungarico il 23 maggio 1915, il fronte dei combattimenti più sanguinosi è quello del Carso, e delle regioni nord-orientali in genere. Il conflitto avrà fine solo tre anni più tardi, con la richiesta e la sottoscrizione dell’Armistizio di Villa Giusti da parte dell’Austria-Ungheria. Tre anni che costarono 650 000 caduti solo all’Italia, e 400 000 all’Impero Austro-Ungarico. Oltre due milioni i feriti. In totale, dal 1914 al 1918, furono undici milioni i militari morti su tutti i fronti, e sette milioni i civili che persero la vita. Quattro anni che costarono all’umanità 25 milioni di vite.

Il Friuli Venezia Giulia durante il conflitto era diviso tra Regno d’Italia (Provincia di Udine) e Impero di Austria-Ungheria (Contea di Gorizia e Gradisca). L’obiettivo era quello di annettere la Venezia-Giulia all’Italia. In questi anni di guerre serrate, Gorizia venne completamente rasa al suolo.

La cicatrice ancora si staglia lunga e insanguinata sul dorso delle alpi Carniche, lungo il “confine orientale”: trincee, caverne, mulattiere, forti e cimiteri.

Oggi tutto questo dovrebbe farci riflettere, dovrebbe farci desistere da qualunque minimo accenno di violenza, comunque, e sempre, inammissibile.

Al seguito delle tre campagne risorgimentali dalle quali sorse lo Stato unitario, il Belpaese risultava ancora mutilato del Trentino e della Venezia Giulia, entrambi sotto il controllo dell’Impero Austro-Ungarico.

Nell’anteguerra la Triplice Alleanza non aveva osteggiato affatto le misure militari protettive assunte da entrambe le parti, quali la costruzione del Regio Sistema Fortificato del Friuli e il potenziamento degli sbarramenti Carinziani, che vennero così utilizzati durante il primo conflitto mondiale.

La prima settimana bellica fu un’incruenta e modesta avanzata delle truppe italiane verso l’Isonzo, presto arenatesi davanti alle difese austriache lungo il Carso e Gorizia.

Sul fronte montano, molto esteso, la flebile offensiva italica risultò inefficace di fronte alla preparazione avversaria.

Sin dal giugno del 1915 il fronte si attestò, per ciò che attiene il Friuli, sulle Alpi Carniche, passando per Pontebba, si congiungeva al monte Rombon, e si esauriva sul mare Adriatico nei pressi di Monfalcone, ai piedi del Montenero, presso il fiume Isonzo e le alture carsiche.

La Zona Carnia, era affidata al XII Corpo d’Armata, e copriva il tratto di fronte che va dal monte Peralba (Sappada), alla punta di Montemaggiore (prealpi Giulie), compreso il gruppo del Canin. Nelle retrovie erano dunque incluse le fortezze dell’alto Tagliamento e di Monte Ragogna. Il XII Corpo aveva più mezzi e più uomini rispetto agli altri corpi. Il Corpo della Carnia inoltre godeva di autonomia propria e dipendeva direttamente dal comando supremo. Solo durante i mesi primaverili del 1917 venne inquadrato nella II armata.

Il fronte era immobile, assalti, contrassalti, produzioni belliche inedite e distruttive: sul campo coesistevano mazze ferrate, di derivazione medievale, e nuovi agenti chimici, sino a quel momento mai utilizzati a tale scopo. Schemi di assalto arretrati e inefficaci si scontravano con armi sempre più potenti e precise: era un massacro, un totale macello di carne umana.

Ardite postazioni su siti impensabili, teatri bellici straordinari, battaglie campali in quota come quelle del Pal Piccolo e sul Jôf di Miezegnot.

Freddo, valanghe, precipizi, temporali e inondazioni erano un nemico comune a entrambe le fanterie. Artiglieria pesante e rifornimenti dovevano essere trasportate oltre 2000 metri di quota, in condizioni poco agevoli, su postazioni difficilmente raggiungibili.

L’Isonzo assistette a undici offensive devastanti, dal 1915 al 1915, il Capo di Stato Maggiore del Regio Esercito, Gen. Cadorna, ordinò alle armate guidate dal Gen. Cappello e dal Duca d’Aosta di concentrare le spallate sul Carso, sulle alture goriziane, presso Tolmino e sulla Bainsizza, fissando come obiettivi strategici Trieste e Lubljana. Il valore delle fanterie italiane e le ingenti perdite non fecero breccia sul confine isontino: gli austriaci resistettero, pur soffrendo la caduta del campo trincerato di Gorizia.

L’ultima spallata presso l’Isonzo, la dodicesima, si risolse con la celebre “Disfatta di Caporetto”, che costrinse l’esercito italiano a ripiegare combattendo prima sul Tagliamento, poi sul fronte del Piave sul Montegrappa, dove si stabilizzò la linea difensiva definitiva.

Nel frattempo il Gen. Diaz subentrò al Gen. Cadorna. É il momento della riscossa italiana: a giugno del 1918 vi fu la Battaglia del Solstizio, quando il regio esercito affiancato da quattro divisioni anglo francesi, da reparti legionari cecoslovacchi e da un reggimento americano, respinsero l’ultimo, possente, attacco austro ungarico.

Crisi interne e movimenti nazionalisti fecero crollare su sé stesso l’Impero Austro Ungarico, il 24 ottobre, a un anno di distanza di Caporetto, le fanterie sabaude assaltarono le linee avversarie. Dopo alcuni giorni di valorosissima resistenza le truppe austro ungariche ripiegarono, e con la perdita di Vittorio Veneto vi fu la rotta definitiva.

Il 4 novembre del 1918 entrò in vigore l’armistizio tra Regno d’Italia e Impero Austro Ungarico.

Formalmente l’Italia ne uscì vincitrice, ma mi permetto di fare una considerazione, per quanto banale possa sembrare: 25 milioni di vite umane non possono valere una “vittoria”. Troppo sangue è stato sacrificato per parlare di vincitori e vinti, e questo sangue apparteneva a giovani, vittime della sete di potere di pochi, folli, burattinai.

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