La nostra è la società dell’immagine. Film, giornali, musica, arte e moltissimi altri tasselli della nostra vita quotidiana sono intrisi di immagini. Persino la nostra memoria lavora in buona parte attraverso rappresentazioni e simboli.

Eppure, nonostante ciò, l’argomento del foto-ritocco, dell’ “usare Photoshop”, come si suol dire, è ancora molto accesso. 

Nell’immaginario comune, infatti, la fotografia è simbolo di realtà e purezza che, idealmente parlando, dovrebbe rimanere tale. Sembra che la modifica o il miglioramento, in senso tecnico, di una fotografia, qualunque essa sia, appare come una depravazione di quello che dovrebbe essere la realtà catturata nella foto.

Probabilmente non ci si sofferma a pensare che ogni scatto che troviamo su internet, sui libri di fotografia, nelle mostre e nei nostri telefonini, ha subito qualche cambiamento.

Gli stessi scatti che escono dalla fotocamera del nostro telefono sono pre-modificati dall’applicazione. E così nelle macchine fotografiche, dalle professionali a quelle di consumo. Ancora prima di premere il pulsante di scatto la macchina sa già tutto: fa in modo che le fotografie vengano più saturate dei colori naturali, con il giusto contrasto, con l’esposizione migliore per la situazione e via discorrendo.

Per intendersi: i vari effetti “compleanno”, “fuochi d’artificio” o “bambini che giocano”.

Ma ritoccare una foto non è una novità. Persino con la pellicola, grazie a degli accorgimenti durante il processo di sviluppo, si poteva aumentare il contrasto, la saturazione e l’esposizione dello scatto.

Quasi nessuna foto, neppure le più famose delle storia, sono state presentate al pubblicato prima di essere ritoccate.

Sacrilegio? Direi proprio di no.

“Dieci fotografi di fronte allo stesso soggetto producono dieci immagini diverse, perché, se è vero che la fotografia traduce il reale, esso si rivela secondo l’occhio di chi guarda.” Gisele Freund

Per quanto la fotografia possa essere un strumento di rappresentazione di ciò che è vero (in senso lato), dopotutto anche Robert Mapplethorpe diceva che la fotografia è un modo sbrigativo di fare una scultura, essa è anche una forma d’arte.

Il concetto della fotocamera come “strumento di realtà” vale per il fotogiornalismo, ma prescinde il senso artistico dello scatto.

È limitante pensare la macchina fotografica come strumento e anche produttore. L’artista è il produttore dell’opera, la macchina il mezzo. E il fine? E il fine è creare qualcosa di bello, e così anche artistico.

Ma fino a che punto è moralmente accettabile l’uso di un programma di elaborazione d’immagine? Gli strumenti di oggi ci permettono di trasformare all’estremo anche i nostri corpi, estremizzando la stereotipizzazione della bellezza.

Forse il vero problema è la nostra incapacità di controllare, per ora, i nuovi mezzi in nostro possesso.

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