Non è facile raccontare la Guerra; soprattutto quando le vicende ad essa legate hanno in qualche modo influenzato la nostra vita, o hanno toccato da vicino quella di persone a noi care. Cesare Pavese, grande narratore, lo fa in modo delicato e preciso allo stesso tempo, mescolando il ricordo della sua storia personale agli eventi della Storia riguardante la Seconda Guerra Mondiale.

La luna e i falò è il capolavoro di Pavese, l’ultimo libro considerato il suo testamento letterario e scritto tutto d’un fiato pochi mesi prima di commettere il suicidio. Il titolo è allegorico, e fa riferimento da una parte alla tradizione classica, che vede nella luna il simbolo di qualcosa di immutabile, un punto fisso nella vita degli esseri umani; dall’altra, alla tradizione contadina, della quale sono simbolo i falò. Il romanzo racconta la storia di Anguilla, un giovane che fa ritorno alla terra natia delle Langhe all’indomani della Liberazione, dopo aver trascorso gli ultimi anni negli Stati Uniti. La narrazione è in prima persona, quasi in forma di diario: assistiamo da protagonisti ad ogni sensazione che Anguilla prova nel rivedere i luoghi e le persone della sua infanzia, e scopriamo insieme a lui la trasformazione che essi hanno vissuto nel tempo.

Lo stesso Anguilla è cambiato: gli anni trascorsi in un altro continente, le esperienze provate, il lavoro trovato, gli hanno permesso di tornare a Santo Stefano Belbo (il paese di nascita dello stesso Pavese) da vincitore, di modificare la visione che gli altri avevano di lui come del bastardo diventando per tutti l’Americano, quello che ha fatto fortuna dall’altra parte dell’Oceano, ha un bel vestito e tanti soldi. Pavese inserisce in questo particolare della storia personale del protagonista una verità storica: all’inizio del 1900, nei territori delle Langhe, era infatti frequente che le famiglie povere adottassero i piccoli orfani per ricevere il denaro mensile che l’ospedale dava loro in seguito.

Il romanzo si snoda attraverso continui salti indietro tempo e ritorni al presente, che rappresentano i ricordi e le sensazioni di Anguilla nell’assistere tutto d’un colpo al risultato del tempo, delle azioni della gente e del passaggio della Guerra nei luoghi in cui ha vissuto la sua gioventù. Si inserisce quindi il riferimento al periodo della Resistenza durante il secondo conflitto mondiale, che Pavese racconta attraverso la voce dell’amico Nuto; l’ex partigiano riporta ad Anguilla le vicende delle organizzazioni partigiane del territorio, e la storia di Irene – figlia dell’ex datore di lavoro di Anguilla alla Mora – che aveva deciso di collaborare con i nazi-fascisti tradendo la brigata.

Un libro impegnativo, che costituisce non solo un’importante testimonianza della Resistenza nei territori italiani, ma anche un velato invito, rivolto ad ognuno di noi, alla revisione della nostra vita e della nostra personale forma di sradicamento, per arrivare alla tragica consapevolezza del nostro destino di solitudine.

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