Dopo circa un quarto d’ora il processo nella basilica inizia. Fa piuttosto caldo e molti attorno a noi, sudati fradici, cercano di farsi un po’ di frescura arieggiando con le mani. Non c’è un buon odore e nessuno sembra avere intenzione di uscire dalla sala. D’altronde il processo è come uno show televisivo, solo che davanti agli spettatori a svolgersi non è una fiction ma la vera realtà. D’un tratto, dal banco dei giudici, un uomo si alza ordinando di fare silenzio: si comincia!

L’avvocato difensore prende subito la parola. All’epoca, costui, per accusare/difendere o rispondere alle accuse, aveva un tempo massimo di sei clessidre, ciascuna di venti minuti per un totale di due ore. Ovviamente si varia da processo a processo, a seconda anche dell’interesse dei giudici a prolungare o ad accorciare la causa. In genere le sedute in aula cominciano in mattinata e terminano la sera. Questa che stiamo assistendo noi è iniziata verso l’ora di pranzo: speriamo non ci voglia molto!

Il difensore è un uomo che si presenta bene. Con atteggiamento istrionico e sguardo severo, nei gesti sembra quasi porsi come accusatore verso gli stessi giudici. La sua mimica attira molto l’attenzione, nel tentativo, riuscito, di dare l’impressione della gravità del torto subito dai suoi assistiti. Puntando il dito verso di loro riusciamo a riconoscerli: è una coppia, a detta dell’avvocato, estromessa da una grande eredità. Una curiosità: come nell’Italia moderna, anche nell’Italia romana vi è un intasamento della giustizia, con tantissimi processi in attesa di giudizio. Pochi imperatori erano riusciti a sfogare, tramite provvedimenti strutturali, questa pressione che puntualmente si ripresentava. Ciò è dovuto al fatto che tutta la giustizia civile era gestita dalle figure istituzionali del potere regionale, le quali non sempre erano in grado di far fronte al gran numero di cause.

L’eloquenza dell’avvocato è incredibile: dopo pochi istanti di silenzio, riesce a pronunciare un accorato ed emozionante discorso, sicché è impossibile annoiarsi. Sembra però che si sia preparato una sorta di scaletta: ogni tanto l’avvocato guarda verso di noi, anche se oggetto del suo sguardo è tutt’altro; davanti a noi, nella sala, quello che sembra essere il suo segretario sembra stia compilando una sorta di lista.

Evidentemente l’avvocato vuole avere conferma di seguire un discorso preparato già in precedenza, confrontandosi con l’aiutante grazie a un semplice sguardo. Ricorda molto una recita teatrale. E’ essenziale, secondo il più grande avvocato della storia romana Cicerone, commuovere, dilettare e convincere per avere successo in una causa. Di fatto sembra che l’avvocato difensore stia ben seguendo questo principio: in sala nessuno sbadiglia o mostra cedimento alla noia. Sicuramente il discorso sarà stato provato in precedenza nel suo studio, non si spiegherebbe una così abile bravura a tenere a mente così tanti concetti ed esempi.

Dopo un’oretta abbondante di arringa, d’un tratto l’avvocato, interrompendo il suo discorso, si volta e corre verso la folla uscendo di scena. Dopo pochi minuti, in cui in sala si è scatenato il brusio, anche tra i giudici nel frattempo sorpresi da questa improvvisa azione, se ne ritorna mano nella mano con una bambina. Subito la porta vicino ai suoi assistiti e dagli atteggiamenti della piccola capiamo, prima che il processo prosegua, che quella è loro figlia. A quel punto in aula cala nuovamente il silenzio e l’avvocato, con sguardo crucciato e al contempo severo, quasi rancoroso, di chi sembra aver subito un torto in prima persona, alza di colpo la voce.

Comincia un altro discorso, più sentimentale e affettivo: se i genitori perderanno la causa, che ne sarà del futuro della bambina quando loro non ci saranno più? E soprattutto, si sta parlando di una famiglia cittadina romana: che destino vorrebbero dare i giudici a coloro che sono per diritto loro pari? Il discorso sulla cittadinanza romana è ancora molto sentito, nonostante siano passati pochi decenni da quando questa si è estesa a tutti i sudditi dell’Impero, specialmente in Italia. Il tutto, comunque, non ci sorprende più di tanto: l’avvocato qui ha usato una strategia che già in passato era stata usata dallo stesso Cicerone ma che sia giudici che pubblico non conoscevano; il colpo di scena della bambina era stato previsto nella scaletta; la piccola, su richiesta dell’avvocato e su ordine dei genitori se ne era rimasta in disparte apposta.

E’ una strategia volta a intenerire e a spezzare il cuore non solo ai giudici ma anche agli spettatori. Infatti, chi avrebbe poi osato giudicare contro questa famiglia dopo un ingresso in scena così plateale, soprattutto in presenza di una folla che sta dalla loro parte? E’ una questione essenzialmente psicologica che, posta alla fine di un discorso ben strutturato, rappresenta quel grammo in più che fa pendere la bilancia a favore delle parti in causa. Una strategia indubbiamente efficace e questo l’avvocato lo sa bene. Molto probabilmente, anzi certamente, la causa verrà vinta e costui potrà beneficiarne sia per la carriera che per il compenso.

Sapendo come probabilmente andrà a finire, usciamo dalla basilica e riprendiamo l’esplorazione della città.

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