Insegnare italiano non è semplice e forse è la materia più complessa tra tutte. Non tanto per gli argomenti che il programma ministeriale richiede che vengano trattati, ma per il lavoro che è richiesto alla figura dell’insegnante di italiano. Non è un compito semplicemente limitato al livello scolastico ma si estende a un piano relazionale più profondo, fino a rendere la figura del docente di lettere fondamentale nella crescita dei ragazzi che si apprestano a vivere insieme, in contesti più o meno graditi a loro, e tra questi c’è proprio quello della classe e quello generalmente scolastico.
L’insegnante di italiano, quando ha tra le mani un pacco di temi, sta stringendo al cuore le anime di quei suoi allievi, il loro coraggio di esprimersi, la loro volontà di mettersi alla prova e, perché no, di superare le proprie aspettative. Quelle parole, anche se parlano di poesia, letteratura o storia, sono sempre parole messe in ordine da un adolescente che sta cercando di crescere e chiede aiuto, una mano tesa, qualcuno capace di ascoltarlo. L’insegnante di italiano deve saper comprendere questa necessità di ascolto talvolta disperata, talvolta timida e silente, ma che sempre cerca di emergere dalla grafia di ciascuno, e non solo.
L’ordine e la scelta delle parole, quando si scrive, non sono mai casuali, e sono pochi gli insegnanti che di questo sanno accorgersi senza impugnare subito una penna rossa e recidere quelle grida timorose buttate lì, sulla carta, con più cura di quanta si possa pensare. I ragazzi temono gli insegnanti prima ancora di conoscerli ma non perché essi siano severi, certo che no. Sanno apprezzare le personalità austere, carismatiche, esigenti, ma hanno paura. E allora di cosa? Basterebbe osservare per un attimo nei loro occhi per riuscire a comprenderlo. Gli allievi hanno paura che non sia come loro si aspettano. Temono che non rispecchi l’adulto in cui tanto sperano, la figura che sappia finalmente, dopo tante incomprensioni incontrate nei loro percorsi di crescita, leggere dentro le loro ansie, le loro aspettative, le loro preoccupazioni e anche nella loro felicità che, pur abbagliante ed entusiasta, è molto rara.
Non lo dicono ma lo pensano, e per non darlo a vedere si nascondono dietro frasi che li fanno sentire grandi. Dicono che l’italiano è facile, non serve a niente, la materia difficile è solo matematica, la grammatica è noiosa, la letteratura è pesante e basta leggere per capirla o, ancora peggio: non c’è niente da capire. Certo, cari ragazzi, sarà così finché in giro ci saranno insegnanti di italiano che si credono tali solo perché vi spiegano dal libro gli argomenti imposti dal programma e vi assegnano i famigerati esercizi di comprensione del testo, quando sarebbero proprio loro ad averne bisogno. Eppure auguro a chiunque di trovare un insegnante di italiano che sappia ascoltare e insegnare a vivere prima di ripetere a memoria parafrasi di testi che tra qualche anno gli studenti avranno completamente dimenticato tra le pagine dei libri.
E gli insegnanti con lo sguardo vuoto, incerto, assente, derisorio, ipocrita? Quelli non sono veri insegnanti, e non meritano di esserlo. A differenza di quanto si possa pensare, un docente di lettere non deve essere solo appassionato nei confronti delle proprie discipline ma, come tutti i suoi colleghi, deve avere prima di tutto a cuore la crescita di quei venti e più animi che si trova davanti ogni giorno. Non serve che lo dica: ad affermarlo son capaci tutti, anche con decisione falsa e sfrontata. Bisogna dimostrarlo, e a saperlo fare sono davvero in pochissimi, e di solito sono quelli che non si elogiano, quelli che fanno il loro lavoro con amore senza andarlo a sbandierare ai quattro venti.
E perché l’insegnante di italiano è una figura oggi sottovalutata? I genitori non accettano che un ragazzo prenda 5 nelle materie letterarie perché si dice che siano facili, mentre asseriscono e si arrendono se l’insegnante di matematica assegna un due in un compito, tanto si sa che la disciplina è ostica per molti. I figli sono scoraggiati dall’atteggiamento dei genitori, perché loro conoscono l’importanza dell’insegnante di lettere ma in questa situazione di disapprovazione genitoriale sono impotenti e, da adolescenti, purtroppo facilmente condizionabili. Allora l’insegnante di italiano si trova da solo, contro tutti, con i ragazzi che hanno bisogno di prove di fiducia per comprenderne il valore. Sì, il valore di una persona che si mette in gioco ogni giorno per dimostrare che la nostra ricchezza più grande sta nello strumento più potente, delicato e allo stesso tempo violento e feroce, ma anche dolce e salvifico, di cui possiamo avere il controllo, se ben guidati e istruiti: la lingua italiana, la nostra fedele alleata nell’espressione di quel che fa parte di noi stessi. Questo è già un valore che andrebbe di per sé valutato come inestimabile ma, si sa, nel mondo di oggi va tutto dimostrato, anche ciò che di più ovvio abbiamo sotto gli occhi: pronti a disprezzare, non ci accorgiamo di quanto potremmo essere forti, felici, mai da soli ma capaci di comunicare tra noi. Per fortuna gli insegnanti di italiano, quelli veri, quelli rari, i migliori, esistono per ricordarcelo sempre.

Articolo di Anna Tonazzi originariamente apparso su Cogito et volo

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