I “dialoghi sul mondo che cambia” quest’anno il festival udinese Vicino/lontano li ha incentrati sulla vulnerabilità. Siamo vulnerabili di fronte a una realtà mutevole a cui non sappiamo far fronte. Parlarne, come già faceva Socrate duemilacinquecento anni fa, è il modo migliore per capire e raggiungere una qualche soluzione, pur complessa che sia.
All’oratorio del Cristo sabato mattina si è parlato di Immigrazione: tra disinformazione e indifferenza. L’incontro ha visto alternare le voci di due docenti di Padova, il sociologo Stefano Allievi e il demografo Gianpiero Dalla Zuanna, assieme a Pierluigi di Piazza, laureato ad honorem ‘imprenditore di solidarietà’ dall’Università di Udine e direttore del Centro Balducci di Zugliano.

Dopo aver nominato i loro libri di recente pubblicazione riguardanti il tema (Tutto quello che non vi hanno mai detto sull’immigrazione e Il mio nemico è l’indifferenza), si passa a una notizia internazionale: a Londra è stato da poco eletto un sindaco musulmano, di origini pakistane. Il punto è, dice Allievi, che non è stato eletto in quanto musulmano, ma in quanto capace, in quanto migliore tra tutti gli altri, musulmani e non. “Nel lungo periodo certe differenze spariscono, o non sono più la cosa caratterizzante.” Questo è naturale ai bambini, nativi della Pluralità culturale: se qualcuno fa uno sgarbo a un bambino e gli chiedono chi è stato, dirà “quello là col maglione rosso”, non “quello nero” o “quello musulmano”. Si va subito al centro della questione: Allievi, supportato dai due correlatori, afferma che non si tratta di una questione economico-demografica, ovvero di numeri, bensì di una questione culturale. L’informazione crea l’immaginario delle persone, la disinformazione e la misinformazione hanno dei meccanismi precisi. Se da un lato gli immigrati non si adattano alle nuove circostanze, dall’altro “Noi pretendiamo che si integrino, ma in fondo non lo vogliamo, perché è questo che corrisponde al nostro immaginario”. La non integrazione è redditizia mediaticamente. Invece bisogna investire sull’informazione vera e non buonista, non politically-correct, perché “i conflitti si superano solo se si nominano”.

Dalla Zuanna ci fa riflettere su un’impostazione mentale consolidata: una popolazione ritenuta “giusta” è quella in cui le nascite e le morti si mantengono in un equilibrio costante. Il modello è riassunto nella formula birth + death + mathematics. Manca un fattore fondamentale, che caratterizza l’umanità da sempre: lo spostamento, la migrazione. D’esempio è il Piemonte, in cui da cento anni ogni donna ha meno di due figli, eppure non ha un popolazione in calo: vi sono emigrati prima veneti e friulani, poi è stata la volta dell’Italia centro-meridionale e ora di immigrati internazionali.  Questo non ha leso la società piemontese, che rimane salda. “La popolazione che si sposta è diversa da quella che resta” osserva il demografo. Chi si sposta è più propenso ad accettare il nuovo, al contrario di chi rimane. Viene posta l’attenzione sui due significati di ‘indifferenza’: da un lato significa girarsi dall’altra parte, dall’altro significa “non distinguere”. Non possiamo dire “siamo tutti uguali”, perché obiettivamente a volte non lo siamo. Ecco che le disuguaglianze allora possono essere un valore, ecco che quando si acquisisce la nazionalità italiana e viene dimenticata giuridicamente l’origine di una persona, questo non permette più di capire statisticamente dove stanno le disparità, crea un buco informativo. Della Zanna ci avverte: ricordatevi che nella storia dell’umanità, che si ripete, ci sono dei processi latenti che covano sottobanco e sbucano fuori all’improvviso prendendo alla sprovvista. “Andate a leggere sulle famiglie ebree nei primi decenni del Novecento e troverete tutti integrati, gente che ha combattuto la Prima guerra mondiale fianco a fianco. Fino a quando scatta il meccanismo del capro espiatorio, che fa riemergere vivida una differenza”.

Prende infine la parola Pierluigi di Piazza, che riflette sullo sguardo che si adotta verso il diverso. Spesso, ci dice, è uno sguardo guidato dall’emotività irrazionale. “Basta pronunciare la parola ‘profughi’ e c’è già un’avversione percepibile.” La visibilità è divenuta troppo forte: vediamo qualcuno che ci dà fastidio o ci turba e non andiamo oltre. Non si è più propensi a dare una mano, non sono più affar nostro le ferite nell’animo degli altri. Invece “che uomo sarei, se non mi stesse a cuore?” Non in modo emotivo e irrazionale ma permanente: ci vuole un’accoglienza consapevole, ci vuole un progetto (come il suo, del Centro Balducci). Il 20 novembre scorso, racconta, si è sentito in dovere di inviare una lettera pubblica a tutte le provincie friulane: citando la Costituzione, la convenzione di Ginevra e il Vangelo, chiedeva come fosse possibile che da un anno tutti vedessero persone, in regione, dormire all’addiaccio senza prendere provvedimenti. “Noi, Friuli, terra di emigrazione ― e con la solidarietà che ci è stata offerta quarant’anni fa, in seguito al terremoto.” Pierluigi di Piazza ci ricorda anche che chi arriva ci rivela come sta il mondo. Non solo, chi arriva rivela anche chi siamo noi, quale politica, etica e fede vanno per la maggiore.

Al secondo giro di opinioni, mosso dalla questione specifica delle richieste di asilo, Allievi riflette sull’idea del viaggio, dello spostamento. L’idea di uscire, di andarsene, di respirare aria nuova è comune a tutti: l’allontanamento può essere un sollievo. “Chi si sposta lo fa per stare meglio.” Dalla Zuanna prima ci parla del reddito di cittadinanza per i profughi (stupido secondo lui, perché è come trattare la gente “da bambini” senza proporgli un processo educativo) e delle politiche di riammissione (difficili se non impossibili, data la mancanza di accordi tra Stati), infine ci sorprende menzionando dei manoscritti inediti resi noti per l’anniversario di Shakespeare ― in Sir Thomas More, ecco cosa scriveva il Bardo quattrocento anni fa:

«Se il Re vi bandisse dall’Inghilterra, dov’è che andreste? Che sia in Francia o Fiandra, in qualsiasi provincia germanica, in Spagna o Portogallo, anzi, ovunque non rassomigli all’Inghilterra, orbene, vi troverete per forza a essere degli stranieri.
Vi piacerebbe allora trovare una nazione d’indole così barbara che, in un’esplosione di violenza e di odio, non vi conceda un posto sulla terra, affili i suoi detestabili coltelli contro le vostre gole, vi scacciasse come cani, quasi non foste figli e opera di Dio, o che gli elementi non siano tutti appropriati al vostro benessere, ma appartenessero solo a loro? Che ne pensereste di essere trattati così? Questo è ciò che provano gli stranieri. Questa è la vostra disumanità.»

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