Per l’edizione 2025 di Pordenonelegge, Alessandro Aresu, filosofo del diritto e fine conoscitore delle dinamiche economiche e geopolitiche, porta nel suo ultimo libro, La Cina ha vinto, uno sguardo originale su un tema cruciale del nostro tempo: la trasformazione del potere mondiale. La sua analisi parte da un punto fermo: l’uomo, e non soltanto l’economia o la tecnologia, resta al centro della scena politica globale.

Secondo Aresu, negli ultimi decenni sono emerse tre grandi tendenze che definiscono il nuovo ordine mondiale: l’Asia orientale come cuore della manifattura globale, la digitalizzazione che pervade ogni settore, e l’ascesa dell’India come nuovo polo industriale.

Non è uno scenario futuribile: il secolo asiatico è già qui. I dati parlano chiaro: sei dei dieci porti più trafficati del pianeta si trovano in Cina, e gli altri restano comunque in Asia. La Cina ha già raggiunto una fase matura di industrializzazione, mentre l’India si prepara a seguirne le orme.

Parallelamente, la digitalizzazione ha trasformato radicalmente la nostra vita. Gli ultimi cicli tecnologici – dal personal computer agli smartphone – hanno modificato l’industria e i rapporti di forza tra paesi. Basti pensare al mercato dei cellulari: dominato negli anni Novanta da aziende europee come Nokia, è oggi saldamente in mano a Cina e Corea del Sud.

Ma il cuore del ragionamento di Aresu va oltre l’economia: si concentra sul “capitalismo politico”. In un mondo segnato dalla competizione, il commercio non è più neutrale. Gli scambi diventano armi: dazi, sanzioni e guerre economiche ridisegnano il panorama globale. Non tutte le merci sono uguali: le armi, per esempio, condensano tecnologie avanzate e riflettono rapporti di potere.

Da qui nasce una delle affermazioni più provocatorie: “La Cina ha vinto”. Non si tratta di una sentenza definitiva, ma di uno specchio di percezioni. Negli Stati Uniti, molti intellettuali e politici riconoscono che la battaglia sulle regole dell’economia globale pende a favore di Pechino. Michael Froman, già figura di spicco della politica commerciale americana, lo ha ammesso con amarezza: la Cina ha imposto la sua agenda.

Eppure la teoria americana del “collasso inevitabile” del Partito Comunista Cinese si è rivelata sbagliata. Per anni, si è pensato che l’incompatibilità tra crescita economica e autoritarismo politico avrebbe spaccato il sistema. Al contrario, la Cina ha mostrato resilienza e stabilità, smentendo pronostici affrettati che ricordano quelli sul “Giappone numero uno” degli anni Settanta.

In questo contesto emerge una figura chiave: Wang Huning. Nato nel 1955, docente di scienze politiche, ha vissuto negli Stati Uniti e ha studiato da vicino la società americana. Il suo libro America Against America descrive i punti di debolezza interni degli Stati Uniti. Da trent’anni, Wang è il principale stratega del Partito Comunista, consigliere di tutti i leader da Deng Xiaoping a Xi Jinping. La sua parabola personale mostra come la Cina abbia costruito continuità politica, mentre gli Stati Uniti affrontano le proprie divisioni interne.

L’oceano resta il campo di supremazia americana: la Marina USA controlla le rotte globali. Ma sul fronte industriale la Cina produce navi in quantità incomparabile. È il paradosso di un duello che unisce potenza militare e capacità manifatturiera.

La sfida si gioca anche sul terreno del talento. Gli Stati Uniti attraggono centinaia di migliaia di studenti indiani e cinesi, linfa vitale per le università e i laboratori tecnologici americani. Ma la Cina, a sua volta, sta potenziando le proprie istituzioni accademiche: la Zhejiang University è oggi seconda solo a Google per brevetti legati all’intelligenza artificiale, mentre la University of Electronic Science and Technology of China figura nella top ten mondiale.

Il dilemma americano è chiaro: chiudere le porte agli studenti stranieri significa indebolirsi, ma mantenerle aperte significa continuare a dipendere da talenti che arrivano dal “rivale strategico”. È l’essenza di America Against America: una nazione divisa, che rischia di minare la propria forza dall’interno.

Il quadro delineato da Aresu è quello di un mondo in cui il potere non si misura più solo in termini di PIL o arsenali, ma nella capacità di guidare i flussi di persone, conoscenze e regole. La Cina ha già dimostrato di saper dettare i tempi; gli Stati Uniti devono decidere se restare un laboratorio aperto o ripiegarsi in una nuova forma di isolamento.