Gli uomini non hanno più tempo per conoscere nulla. Comprano dai mercanti le cose già fatte. Ma siccome non esistono mercanti di amici, gli uomini non hanno più amici. Se tu vuoi un amico, addomesticami!
― Che bisogna fare? ― domandò il piccolo principe.
― Bisogna essere molto pazienti ― rispose la volpe. In principio tu ti siederai un po’ lontano da me, così, nell’erba. Io ti guarderò con la coda dell’occhio e tu non dirai nulla. Le parole sono una fonte di malintesi. Ma ogni giorno tu potrai sederti un po’ più vicino…

 

“Il piccolo principe? Sì, me l’ha regalato mia nonna quand’ero piccola.” “Certo, ce l’ho, è stato il regalo di un amico.” “Sono sicuro di averlo da qualche parte…”
Se continuiamo a leggere e regalare questa storia da decenni, c’è un motivo. Il motivo è che è un librettino scarno e genuino, che dice le cose più profonde in maniera talmente semplice da renderle incomprensibili. Così semplice che dopo poco tempo ce ne dimentichiamo, scompaiono dalla nostra mente perché la barocca costruzione della vita quotidiana si frappone tra noi e le sottili linee tracciate da Saint-Exupéry.
La storia dell’aviatore stroncato all’età di sei anni nella sua carriera da disegnatore, che incontra un omino dai capelli d’oro nel deserto, è la storia di un’amicizia. L’aviatore si è adeguato ai Grandi, quelli che amano i numeri e non le impressioni, i quali gli hanno consigliato vivamente di lasciar perdere la sua immaginazione, perché con quella non si va da nessuna parte. Si è rassegnato a parlare di bridge e di cravatte, ripiegando sull’osservazione del mondo dall’alto della cabina del suo aeroplano. Esplora così il suo pianeta, fino a quando un giorno, fermo in avaria in mezzo al deserto africano, qualcuno per la prima volta comprende il significato del suo primo disegno, con una sola occhiata: Non voglio l’elefante dentro al boa. Ho bisogno di una pecora, disegnami una pecora.
L’aviatore è combattuto tra la meraviglia dell’incontro e la fretta di riparare il motore, ne va della sua vita perché l’acqua sta finendo. Dunque ecco che, quando il principe gli chiede come mai i fiori si danno la briga di fare le spine, se poi le pecore li mangiano lo stesso, l’uomo risponde che le spine non servono a niente, sono solo una cattiveria da parte dei fiori. L’insistenza della controparte lo fa infine sbottare, complice un bullone che non collabora: Ma no, ma no! Non credo niente! Ho risposto una cosa qualsiasi. Mi occupo di cose serie, io!

Tutti i grandi si occupano di cose serie. L’uomo d’affari, ad esempio, solo sul suo pianeta a fare calcoli da una vita. Dopo ben tre domande da parte del principe (che non rinuncia mai a una domanda, una volta che l’ha pronunciata) si ricorda che cos’è che sta contando. “E a che ti serve possedere le stelle?” ― A essere ricco. “Che te ne fai?” ― Le amministro, le conto e le riconto.
Le risposte non soddisfano affatto l’omino dai capelli d’oro. Egli racconta all’uomo d’affari che lui possiede un fiore che innaffia tutti i giorni e tre vulcani di cui spazza il camino tutte le settimane. “È utile ai miei vulcani, ed è utile al mio fiore, che io li possegga. Ma tu non sei utile alle stelle…
Eppure il principe ha abbandonato il suo pianeta a causa dei problemi con la sua rosa, una rosa molto difficile, venuta da chissà dove. Giunto sulla Terra, dopo aver molto vagato, scopre infine un giardino pieno di rose tutte identiche alla sua: le osserva, stranito, convinto fino a quel momento di conoscere la sola della sua specie in tutto l’universo. Ecco che le certezze crollano, ecco che la sua rosa e i suoi tre vulcani, di cui forse uno spento per sempre, non fanno di lui a ben pensarci un principe molto importante… Ecco che, in quel momento, arriva la volpe.

La volpe gli racconta che gli uomini hanno dimenticato. Per esempio, hanno dimenticato che i riti rendono una giornata diversa dalle altre, permettono loro di “abbigliarsi” il cuore, in attesa di un momento preciso che rompe il monotono e casuale fluire degli eventi. Hanno anche dimenticato che si conoscono solo le cose che si addomesticano, e che di loro si è responsabili per sempre. Il principe capisce che è responsabile della sua difficile rosa, che è grato di esserlo poiché è lei che ha innaffiata, è lei che ha salvato dai bruchi, è lei che ha ascoltato vantarsi e lamentarsi e, talvolta, tacere.
Quando arriva l’ora dei saluti, un’ora triste ma felice per gli amici, perché a loro soli è promesso rivedersi, la volpe dice al principe che piangerà. “La colpa è tua”, risponde lui. “Io non volevo farti del male, ma tu hai voluto che ti addomesticassi.” La volpe annuisce e il principe non capisce perché vale la pena addomesticare, se questo è il risultato. “Allora non ci guadagni niente!” rimprovera l’omino. La volpe guarda i capelli d’oro del suo amico e si volta verso i campi alle sue spalle.
“Ci guadagno”  ― disse la volpe ― “il colore del grano.”

 

In fondo, tutti ci domandiamo se vale la pena. Gli ingredienti dell’addomesticare sono il tempo, la costanza e la sofferenza. Il tempo è ciò di più prezioso che possediamo e la sofferenza ci fa rimpiangere e maledire sia il tempo sia la costanza. L’aviatore, mentre abbraccia il piccolo principe prima del distacco, sa che di lì a breve non lo vedrà più, ma sa anche che grazie a quell’incontro tutte le stelle di lì innanzi rideranno.
Forse vale la pena addomesticare, perché l’alternativa, come afferma la volpe, è continuare a dare la caccia alle galline ed essere cacciati dagli uomini. In quel caso tutti gli uomini si assomiglieranno e così tutte le galline. Il suono di tutti i passi sarà ostile, ogni ora sarà uguale alle altre e il colore del grano al sole non ci scalderà né farà sussultare il cuore.
Chissà quante volte ancora ce lo dimenticheremo…

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