A gennaio uno dei piatti della tradizione maggiormente presente sulle nostre tavole è quello del musét, o musetto che dir si voglia. Un prodotto molto controverso, frutto di anni di storia e tradizioni tramandate da padre in figlio. Va specificato però come il musét sia unicamente friulano, altra cosa ben distinta è il cotechino, prodotto molto conosciuto nell’enogastronomia italiana e originario dell’Emilia Romagna.

Il musét vede la sua origine appunto in Friuli-Venezia Giulia ed è uno dei piatti principali della cucina povera friulana. Non a caso si tratta di un insaccato a base di carne trita di maiale, le cui parti sono le meno pregiate, ma come la tradizione ci ha insegnato, del maiale non si butta via niente. In particolare sono il muso (da cui musetto), i muscoli degli stinchi e cotenna. Il tritato è impastato con una concia di sale, pepe, cannella, noce moscata e talvolta chiodi di garofano, è proprio la concia il vero ingrediente segreto ed è diversa per ciascun purcitâr (il norcino). Il trito una volta conciato viene messo all’interno di un budello ricavato dall’intestino del maiale, di media dimensione, una mezza via tra quello da salame e quello da salsiccia e poi fatto essiccare.

Il musét non è un piatto che va gustato da solo, ha infatti un sapore molto intenso ed è molto grasso al palato. Per questo lo si è da sempre accompagnato alla brovada, un tipicissimo contorno a base di rapa dal colletto viola sotto vinaccia, tagliata in piccole strisce ed infine cucinata per ore insieme ad alloro e altre spezie. L’abbinamento fa si che si contrappongano due gusti molto forti, ma complementari: troviamo infatti la grassezza del musetto con l’acidità sgrassante e pulente della brovada. Una sinfonia per il palato. La brovada o broade in lingua friulana, è un prodotto DOP dal 2011, quindi unico e riconosciuto della nostra regione.

Le origini di questo piatto sono da rimandare alla tradizione contadina friulana e al momento dell’uccisione del maiale, grande momento di festa da sempre per tante famiglie della comunità locale. Oltre a ciò è nato dall’esigenza di non sprecare nulla del maiale, questo a sottolineare il profondo rispetto che l’allevatore nutre nei confronti della sua bestia.

Dalla tradizione povera arriva a noi ancora oggi un piatto che consumiamo almeno una volta l’anno, nella notte di San Silvestro, carico di sapore, significato e storia.