Il mercante di luce”, l’ultimo romanzo di Roberto Vecchioni, lo si può considerare come una summa di tutto ciò che egli è stato: professore di latino e greco, cantautore, padre. Romanzi quali “Scacco a Dio”, “Il libraio di Selinunte”, opere di immensa bellezza narrativa e ricercata eleganza formale, già ci informano sul perché Roberto Vecchioni sia candidato al Premio Nobel.

Il mercante di luce racconta una storia apparentemente triste; la storia di un figlio che muore velocemente, colpito da progeria, una malattia che condanna le passioni e le speranze di chi ha solo diciassette anni e guarda il mondo ancora con occhi sognanti: un morbo che condanna ad una vecchiaia precoce.

Il padre, Quondam, professore di latino e greco, escogita un modo per offrire al figlio quella vita che gli verrà sottratta, dandogli tutto ciò che egli ha, ovvero la passione per l’arte, per la bellezza, per la letteratura, per la poesia greca, in un viaggio in cui si rincorrono le gesta e i timori di poeti e poetesse di quel tempo, immobile, cristallizzato, sospeso tra mito e invenzione.

Ed è così dunque che Roberto Vecchioni ci offre l’incommensurabile amore per le arti e per l’antichità, fornendoci gli strumenti non solo per riflettere sulla nostra condizione di uomini sul pianeta Terra, ma anche per comprendere il mondo di oggi; e tra riflessioni, rivelazioni autobiografiche, percorsi psicologici e sentieri introspettivi, sarà la Bellezza ad offrire un varco di salvezza ad entrambi i protagonisti, perché non è possibile che

gli uccelli cantino quando passa la tempesta, e gli uomini non sappiano nemmeno esser felici del sole che gli resta.

Solo allora potranno dire – forse – di non aver più paura di morire e di vivere.

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