Guardare il Friuli-Venezia Giulia durante le lunghe giornate d’estate significa imbattersi in un trionfo di colori. Con l’arrivo dell’autunno essi si trasformano e il cielo terso, dopo la lunga pioggia, rispecchia le sfumature dei variopinti paesaggi che questa regione ci offre. La bellezza di questo territorio non si limita all’aspetto meramente paesaggistico. Essa può essere interpretata come sinonimo di  quieto vivere e di benestare dove la percentuale di criminalità e i tassi di disoccupazione sono bassi, grazie anche a realtà cantieristiche e attività industriali ben avviate. Quando si parla del Friuli-Venezia Giulia si è soliti riferirsi a “un posto dove si vive bene”, perché da sempre moralmente avverso a sotterfugi e affari criminali.

Eppure le giornate più scure e meno limpide dell’autunno sono arrivate anche qui, ma senza i loro colori. Sono  arrivate quando più vent’anni fa si è iniziato a parlare di infiltrazioni mafiose e si sono fatte più rigide con la confisca di numerosi terreni e immobili appartenenti a membri associati a famiglie della criminalità organizzata.

Si chiama proprio “Isola felice” il capitolo dedicato al nostro Friuli in una delle ultime inchieste rivolte a questo tema. Tre giornalisti, Luana De Francisco, Ugo Dinello e Giampiero Rossi si sono cimentati nello studio del fenomeno mafioso nell’Italia orientale, pubblicando nel 2015 un libro dal titolo Mafia a Nord-Est. Il titolo, che parrebbe un ossimoro accostato alla nostra realtà, palesa l’anacronistica affermazione di chi ritiene la criminalità organizzata un fenomeno prettamente meridionale.

Per capirlo ci si deve discostare infatti da un’idea stereotipata di mafia legata alla linea stragista, a quella che appicca incendi o riscuote il pizzo. Essa cerca infatti di infiltrarsi nel tessuto socio-economico friulano innervato di legalità dove il denaro nero è meno sottoposto a specifici controlli.

Le parole che meglio riassumono i nuovi metodi di infiltrazione si possono ritrovare in un dossier diffuso lo scorso maggio e curato dall’associazione Libera e Union Camere del Veneto dal titolo Le Mafie liquide in Veneto, che, per analogia di fattori legati alle modalità e all’organizzazione delle attività mafiose, è possibile adottare anche per il Friuli-Venezia Giulia. I tre termini sono: silenzio, liquidità e invisibilità.

Le regioni settentrionali sono il posto giusto dove far fruttare i guadagni illegali perché il riciclaggio del denaro sporco viene mimetizzato con investimenti in attività commerciali e imprenditoriali. Non solo, non è un caso che la presenza di fattori criminali al nord sia aumentata allo scoppio della crisi economica. Dopo che il sistema creditizio ha chiuso i rubinetti, la nuvola nera della crisi portò moltissime aziende al fallimento. Il piccolo imprenditore locale per salvare l’impresa e i suoi operai decide quindi di rivolgersi a chi ha notevoli somme di denaro sempre disponibili perché provenienti dal traffico di droga o dalle varie attività di racket. Questi “colletti bianchi” si presentano però come semplici prestatori a tasso di interesse nullo. Quando però l’imprenditore accetta il prestito l’azienda può dirsi finita.  Le conseguenze sono due: o fallisce e diventa fonte di fatturazione di false operazioni a nome dell’ormai vecchio titolare, per risultare invisibile agli occhi del fisco, o riparte seguita da un’altra regia in mano alla criminalità organizzata.

In Friuli-Venezia Giulia le zone e i poli più colpiti dalle mafie sono quella udinese e pordenonese, quella monfalconese e quella triestina. D’altronde la nostra regione offre per la malavita mafiosa un posto adatto per giocare nell’ombra. La facilità di attraversare il confine e approdare nella ex Jugoslavia, nonché l’ottima qualità del nostro territorio di essere ben servito per quanto riguarda i beni di trasporto, permette alla criminalità organizzata di rimanere silente e nascondersi senza lasciare tracce.

Uno spiraglio di luce che ha dato slancio alle indagini e un cambio di passo per combattere la criminalità organizzata nella nostra regione è finalmente giunto grazie all’arrivo alla Procura della Repubblica di Trieste di Carlo Mastelloni che dichiara ormai obsoleto l’epiteto del Friuli-Venezia Giulia come isola felice. Ora, che non è più possibile affermare che la mafia nel triveneto non esiste, è necessario che l’opinione pubblica ne prenda coscienza e si adoperi per diffondere questo tipo di sensibilità sociale.

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