È da quando sono alle elementari che mi piace osservare la grafia delle persone attorno a me: compagni di classe, insegnanti, parenti e soprattutto, sconosciuti. Mi piace guardare come impugnano la penna, con che ritmo muovono la mano sul foglio e, ovviamente, l’intero risultato. Così facendo, ho scoperto cose sorprendenti, come che ci sono degli andamenti, delle inclinazioni, delle curve e dei tratti che si possono ritrovare in grafie diverse, indipendentemente dal fatto che le persone si conoscano o che siano affini per sesso o per età. Il motivo? Per la scienza non c’è ancora una risposta precisa. Quello che si può sperimentare, anche personalmente, è imitare la grafia di qualcuno e così scoprire che è possibile riprodurne il modo di scrivere; per farlo, però, bisogna concentrarsi e andare contro i propri automatismi, consolidati dal tempo e dall’esercizio.
La mia curiosità per il campo della scrittura a mano mi ha portata a trovare risposte in diverse discipline, come le neuroscienze, la psicologia e la grafologia, poiché ognuna di queste, con modalità differenti, contribuisce a delineare un profilo di questa attività millenaria.
Sostanzialmente, la scrittura a mano è il risultato di un meccanismo molto complesso che coinvolge, in tempi molto rapidi, diverse parti del nostro cervello e dei nostri muscoli: l’area della memoria, del linguaggio, la percezione dello spazio, la coordinazione mano-occhio, i muscoli della mano e delle falangi. Si tratta insomma di una manualità fine che l’umanità ha sviluppato nel corso dei secoli e che è straordinaria perché è uno strumento “universale” ma allo stesso tempo anche molto “particolare”, quasi distintivo del singolo scrivente.
Purtroppo, per rispondere alle esigenze del mondo digitalizzato in cui viviamo, la scrittura a mano risulta uno strumento lento e quasi antico, tanto che in alcuni stati americani è consentito smettere di insegnare il corsivo ai bambini già dopo pochi anni di scuola. In alternativa, sono stati studiati dei piani didattici di typewriting che hanno sostituito carta e penna ma che, secondo alcune ricerche scientifiche, non ne costituiscono l’esatto corrispondente. Infatti, nella digitazione su tastiera si perde lo stretto rapporto che c’è tra il gesto effettuato dallo scrivente e il segno grafico che ne risulta; di conseguenza il cervello e i sensi sono molto più vigili quando impugniamo la penna e la nostra memoria è maggiormente stimolata nel ricordare e creare le singole lettere, piuttosto che nel riconoscerle in una tastiera. Non che questo ci renda necessariamente più intelligenti o migliori nel nostro lavoro, ma ammettiamolo: la scrittura a mano è decisamente più affascinante, un mondo tutto da scoprire.
Nata a Pordenone nel 1996, vivo a Udine dove studio Mediazione Culturale.
Sono appassionata di teatro, tanto da lavorare come maschera, della lingua russa, e delle città d’arte. Da sempre grande lettrice, sono affascinata dal potere delle parole, ed è per questo che mi sono avvicinata alla scrittura. Amo il mio territorio e tramite L’oppure ho la possibilità di contribuire, nel mio piccolo, alla sua valorizzazione.