Passeggiare per le vie di Sarajevo è fare un viaggio in una città unica, con una storia di violenza e dolore, ma anche ricca di calore e possibilità di incontro.
Al visitatore può succedere, infatti, che una signora con il velo gli offra della frutta se si ferma a guardare la vetrina del suo negozio o che qualche anziano seduto in un caffè inizi a conversare con lui, raccontandogli un po’ della sua storia e delle bellezze del luogo. Sono piccole cose, ma lo fanno sentire parte di un dialogo, di qualcosa che va oltre il semplice essere turista.
A questo si aggiunge la grande quantità di chiese, sinagoghe e moschee che costellano il paesaggio, le evidenze di quel passato multiconfessionale che per secoli ha reso Sarajevo la Gerusalemme d’Europa. È inevitabile non rimanere colpiti da quanto questi segni di una storica convivenza pacifica stridano con le immagini di odio e crudeltà di anni così vicini a noi.
Oggi la città mostra le ferite di ciò che è avvenuto e che nel ricordo comune non si è forse ancora del tutto rimarginato, nonostante la voglia di ripartire proprio da quelle stesse macerie; e così, anche grazie ai contributi di diversi paesi europei, i luoghi importanti sono stati riportati in vita. Uno di questi è la Biblioteca Nazionale, andata completamente distrutta, e oggi, dopo la recente ricostruzione, divenuta sede del municipio cittadino; sebbene degli oltre due milioni di libri e documenti che erano conservati al suo interno non rimanga che una targa all’entrata, è comunque forte la sensazione di trovarsi in un punto delicato nel cuore della storia della città.
Quello che salta meno agli occhi del visitatore è però ciò che c’è sotto i suoi piedi, mentre calcano quelle stesse strade sulle quali poco più di vent’anni fa si trovavano persone come lui che lì si sono fermate per sempre, colpite dalle bombe e dai colpi di mortaio; l’asfalto ne è testimone, poiché ancora oggi porta quelle tracce che vengono chiamate Rose di Sarajevo. Si tratta di colate di resina rosso sangue sparse sui solchi provocati dalle esplosioni lì dove hanno fatto più vittime, e sono lì a ricordaci quanto il passato di un popolo, di una città, di una nazione, cammini costantemente con il suo presente e che per quanto esso possa essere superato, migliorato e criticato, merita di vivere nella quotidianità delle persone, contro l’indifferenza e per non dimenticare: Ti si moj svjedok – tu sei mio testimone.
Nata a Pordenone nel 1996, vivo a Udine dove studio Mediazione Culturale.
Sono appassionata di teatro, tanto da lavorare come maschera, della lingua russa, e delle città d’arte. Da sempre grande lettrice, sono affascinata dal potere delle parole, ed è per questo che mi sono avvicinata alla scrittura. Amo il mio territorio e tramite L’oppure ho la possibilità di contribuire, nel mio piccolo, alla sua valorizzazione.