Una delle figure più controverse del Romanticismo nell’arte è Caspar David Friedrich, pittore tedesco nato nel 1774 e morto nel 1840. L’infanzia trascorsa in una cittadina, Grieswald, situata sulla costa baltica, influenzò considerevolmente il linguaggio artistico ed espressivo dell’artista. I luoghi costieri spesso lusingano i visitatori con un fascino indefinitamente struggente, che è da imputarsi al fatto che quei luoghi sono una sorta di termine medio tra la rassicurante stabilità dell’entroterra, e l’ineffabile immensità del mare; attributi, questi, che si fondano su un immaginario collettivo nutrito da suggestioni letterarie secolari. Pensiamo alla campagna come locus amoenus, dalle Bucoliche di Virgilio alla sensualità totalizzante della campagna pasoliniana; il mare invece rimane foriero di significati nascosti, più che di una contemplativa atarassia. La definizione stessa di “abissi” marini rimanda alla mitologia greca, in cui “abisso” era l’epiteto del Chaos primigenio, una “fenditura” che rappresentava il “vuoto” (Esiodo). Ingenerato era Chaos, e sorse ingenerata anche Gaia (Gea), la Terra, la progenitrice di tutte le altre entità superumane greche: essa era appunto la “stabilità” di cui Chaos era sprovvisto per generare la vita. Vediamo quindi come terra e mare siano dialetticamente contrapposti dall’inizio della tradizione letteraria, ovvero dalla nascita del mythos, il racconto orale.

Ebbene, questa contrapposizione è rilevabile anche nei dipinti del nostro artista, spesso raffiguranti paesaggi costieri in cui lo sguardo si perde nell’infinito; ed è la sua singolarità, che, come sempre accade agli artisti è ad un tempo benedizione e condanna.
Potremmo definire Friedrich un esponente del “romanticismo antiromantico”. Nella pittura infatti, la critica considera il pittore William Turner il massimo esponente del romanticismo, per la sua tendenza ad esprimere più efficacemente lo Sturm und Drang, (la “Tempesta e Impeto”) da cui il romanticismo aveva tratto la sua base tematica. La pittura di Turner infatti aveva in sé la propria alfa e la propria omega: i contorni delle figure erano pressoché aboliti e volumetria, spazialità e tutti gli elementi pittorici erano espressi non con il disegno ma con il colore; quest’ultimo poi era distribuito con pennellate veloci e decise, che creavano un senso di vorticosa e indefinita vertigine. Si pensi ad esempio al quadro Diluvio Universale. L’indefinitezza, indubbiamente, insignisce Turner del privilegio di essere il campione del romanticismo perché l’autodeterminazione della sua pittura, in certo modo metafisica, collima con l’esaltazione romantica dell’Infinito (inteso anche come indefinito) e con la magnificazione del sentimento. La pittura di Turner è “al di là della fisica” (metà-physiòs) laddove rappresenta la realtà non per com’è, ma per la percezione che ne abbiamo; per i processi emotivi e per le insondabili forze dell’animo che risveglia.

Il compendio del romanticismo di Turner, il suo quid romantico, dunque, è il senso di vertigine in quanto indefinita. E su questo punto incastoniamo la giustificazione dell’espressione “romanticismo antiromantico” attribuita a Friedrich: non v’è nulla di indefinito nell’angosciante vertigine che trasmette la pittura di Friedrich, per esempio nel suo quadro più famoso, Mare Artico o il Naufragio della Speranza: il ghiaccio, l’insopportabile biancore che ingloba e annulla fisicamente e metaforicamente tutta la tragicità della nave distrutta dal naufragio, sono elementi che non percepiamo come irreali, non sono il turbinare informe dei dipinti di Turner, ma noi vediamo distintamente la nave e il ghiaccio e, tramite essi, il dolore. Li vediamo attraverso simboli, come ha scritto Ludwig Richter, discepolo di Friedrich: << [Nei dipinti di Friedrich] traspare quella malinconia malata, quell’eccitazione febbrile che commuove fortemente qualunque osservatore appassionato, ma che produce sempre una sensazione di sconforto. Questa non è la serietà, il carattere, lo spirito o il significato della natura, ma è qualcosa di artificioso. Friedrich ci lega a un pensiero astratto, usa le forme della natura soltanto in un senso allegorico, come segni e geroglifici che devono avere un significato particolare; ma in natura ogni cosa parla per sé […] >>. L’analisi di Richter evidenzia un punto fondamentale: lo <<sconforto>> e l’ <<eccitazione febbrile>> che costituiscono il leitmotiv dei pittori romantici, non sono dati dallo << spirito >> o dal << significato >> della Natura, non sono percezioni, come in Turner. Il sentimento estetico del sublime, che fin dalla sua prima formulazione kantiana è legato ad un ambito di horror, nel senso latino di “paura”, che ci rimanda all’ “abisso” di cui sopra, è veicolato non dal significato, non dall’impressione che la natura fa sullo spirito umano, ma è veicolato dal significante di Friedrich, ovverosia l’intelaiatura concettuale, il linguaggio cifrato, l’alfabeto artistico del pittore, l’allegoria.

Questo alfabeto artistico in ultima analisi è appunto la rappresentazione verosimile delle forme pittoriche: << in natura ogni cosa parla per sé >>. Se Turner puntava ad esprimere l’ angosciante infinito attraverso l’indefinitezza delle forme pittoriche, Friedrich lo esprime con un processo opposto, ossia con la rappresentazione verosimile delle forme pittoriche e dunque della Natura, che solo mostrandosi per ciò che è, suscita lo Sturm und Drang nell’animo, senza filtri emotivi. O meglio, senza filtri emotivi fisici, concreti. Per Turner era la vista a dover essere colpita dalle impressioni della pittura deforme e indefinita, dunque un atto fisico: il filtro emotivo era posticcio, posto al di fuori (ma non per questo meno incisivo); per Friedrich il filtro emotivo è intrinseco all’osservatore, che guardando una rappresentazione verosimile è in grado di ascrivere l’interpretazione definitiva del sublime al codice cifrato del proprio spirito, della propria individualità conoscente e significante, senza bisogno di attingere ad una rappresentazione esterna e “significata”.

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