Non c’è più grande forza che dire la verità.

La gestione dell’informazione è cosa delicata, specie se si parla di zone di conflitto. Specie se si parla di Siria. Non credo che il fine con cui si costruisce una notizia debba essere la notizia stessa. Credo che un giornalista abbia l’imperativo morale di dire e dirsi la verità; credo che per un giornalista l’onestà intellettuale sia il tesoro più inestimabile.

Ma che cos’è la verità? La guerra di Siria è un coacervo di verità diverse, impugnate da fronti diversi, in Siria e nel mondo. La verità vive nel dubbio, e solo nel dubbio si delinea per ciò che è: ogni cosa e il suo opposto. Francesca Borri, giornalista del Fatto Quotidiano già impegnata in Palestina e nei Balcani, può essere di grande aiuto per chi cerca di districarsi tra i molteplici interessi di questo conflitto. Dal 2012 segue la guerra in prima persona, da Aleppo; nel 2014 è uscito “La guerra dentro”, edito da Bompiani, e bastano poche pagine per capire che la guerra non è così semplice come la si vede alla tv. La Free Syrian Army (FSA), opposizione ad Assad e allo Stato Islamico, non è che un nome, lo sguardo di un soldato in tuta mimetica e infradito.  Lo sguardo di tanti altri soldati, che vengono da posti diversi, vanno in posti diversi. Una verità semplice,  basata sulla mera osservazione, eppure abbastanza potente da scardinare ogni certezza, da complicare enormemente le cose.  La vera forza di Assad non è nei mortai e nei cecchini, ma nei molteplici interessi dei suoi nemici.

E poi c’è un altro fronte, lontano dalla Siria. Se la guerra è un coacervo di verità diverse, ognuno racconta la propria, quella a cui crede o a cui vuole che gli altri credano. Gli interessi molteplici non sono solo nei protagonisti del conflitto, ma anche nell’informazione: nel giornale che dà risalto al ribelle cannibale che si è mangiato il cuore del nemico. Non serve distorcere i fatti per manipolare l’informazione. La guerra tra giornalisti non si combatte a colpi di mortaio, ma di scandalo: e l’onestà intellettuale, la funzione del giornalismo di smuovere le coscienze per indurre un cambiamento, non contano più dei milioni di profughi e dei trecentomila morti, sunniti e sciiti, civili e militari, buoni e cattivi. Distesi in una fossa comune, con gli occhi chiusi, sembrano tutti uguali.

Eppure lo scandalo, lo scandalo onesto, è necessario. Credo che il giornalismo di guerra debba scandalizzare: “La guerra dentro” è un libro che fa scandalo, un libro che irrompe nella coscienza collettiva.  Un libro che suscita fastidio, se non rabbia. Ed è questa la sua forza: la crudezza dei particolari, i pezzi di cranio e le tibie in pasto ai cani, chi mangia topi e chi mangia cartone, fanno scattare una scintilla. Fanno pensare: devo fare qualcosa. Dire la verità può essere scomodo, a volte, ma è l’unico modo per cambiare il mondo.

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