Come tra vagoni di uno stesso treno, che non si perdono perchè uniti dall’invisibile forza magnetica, è un fluido etereo quello che scorre tra i frutti, i predatori, le vette di una terra e le tradizioni, gli dèi, i costumi del popolo che la abita. Si potrà mai dire di aver visto – visto nel senso più intimo – un pezzo di umanità senza conoscere nulla del suo Nilo che esonda a settembre, dei suoi monsoni estivi, delle migrazioni dei suoi uccelli? Non abbiamo forse perso qualcosa, qualcosa di essenziale, durante il cammino verso questo grande progresso tecnologico? Oggi si può andare da Milano a Città del Capo in venti ore, da Dubai a Pechino in dodici, da Francoforte a New York in nove. Tuttavia quello che si perde è essenziale: le coltivazioni che mutano in simbiosi con la tonalità del terreno o le millenarie montagne come altissimi recinti di roccia, sono in effetti una preparazione necessaria per chi voglia rubare qualche certezza agli uomini di altre terre. Questo nostro XXI secolo, con le compagnie aree low cost, i treni ad alta velocità, Google-Maps-che-ti porta-in-ogni-angolo-di-pianeta, lentamente soffoca quell’istinto che è in ognuno, e che trova calda dimora nell’animo dei viaggiatori di ogni tempo: il desiderio dell’ignoto.
Patagonia Express porta la dote di quei grandi romanzi d’avventura che, in tutte le epoche, non poco hanno contribuito a formare la nostra memoria collettiva: Il milione per l’Asia del Gran Khan, Latinoamericana, In Patagonia, Terra del fuoco per il Sudamerica, La Strada per gli Stati Uniti. Sepulveda, attraverso le funi dei binari, lega una serie di storie di un’umanità preziosa non solo perchè in via d’estinzione, ma anche – e soprattutto – perchè, senza avere altra pretesa che arrivare al domani, riesce a suggerirci qualcosa di molto atavico e potente persino su noi stessi.
Se Garcia Marquez avesse avuto un’indole al movimento abbastanza forte da rispecchiarsi nella sua scrittura, Garcia Marquez si sarebbe chiamato Luis Sepulveda. I suoi romanzi, e in questo Patagonia Express non fa eccezione, descrivono la condizione umana dalla crosta della storia di molti individui: quella di Panchito Barria, morto di tristezza; di Bruce Chatwin, che sentendo l’incedere dell’ora finale si preparò al viaggio con una scorta di taccuini; del Vecchio Eznaola, alla ricerca di una nave fantasma per indicarle la strada per l’oceano; di Jorge Dìaz, messaggero dei partigiani cileni.
Sento che ritorno in un mondo dove l’avventura non solo è ancora possibile, ma è la più elementare forma di vita.